Bernardo Lanzetti: l’arte di organizzare suoni e silenzi

Foto di Renzo De Grandi da http://bernardolanzetti.blogspot.com/

Dagli Acqua fragile alla Premiata Forneria Marconi: in una lunga intervista 50 anni di rock e un’impressionante poliedricità artistica

Nell’immaginario collettivo, sarà sempre il cantante della PFM dei tempi d’oro. Ma, in realtà, in quasi mezzo secolo di carriera, Bernardo Lanzetti ha percorso a lungo i sentieri del rock, partecipando a una grande varietà di dischi e progetti e mostrando anche un’impressionante poliedricità artistica. Con questa lunga chiacchierata, abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza in una carriera lunga e frastagliata.

Sei nato nel 1948 a Casalmaggiore, provincia di Cremona, ma hai studiato negli Stati Uniti. Cosa ti ha lasciato l’esperienza negli States, oltre naturalmente al bilinguismo?
Quello che tu chiami bilinguismo parte dalla primissima infanzia, perché mia madre era nata a Varsavia. Quindi sia io che mio fratello, maggiore di due anni, abbiamo presto acquisito una certa propensione per le lingue. La borsa di studio come studente AFS [American Field Service, l’associazione nata per fornire supporto ospedaliero agli alleati durante la Prima guerra mondiale e poi specializzatasi in scambio di studenti, ndr] mi ha permesso l’esperienza di un anno intero negli USA che è stata decisiva per il mio percorso di vita e per il mio rapporto con la musica. A seguire, ho vissuto la lunga e storica estate del 1967 a Londra, l’estate 1968 a Parigi, e, successivamente, un altro mezzo anno negli States.

Quand’è che ti sei sentito attratto dalla musica?
Credo di aver iniziato a cantare ancora in braccio a mia madre. I primi ricordi di vocalità sono legati ai canti spontanei in un latino approssimativo sul suono maestoso dell’organo a canne della chiesa, ma fu solo una volta giunto negli USA che ebbi un contatto quotidiano ed efficace con la musica. Ricordo di aver scritto in Texas la mia prima song, “Senior Ring”, credo nel 1966: già allora cercavo di rompere alcuni schemi, infatti due dei soliti tre accordi venivano proposti sia in maggiore che in minore. Gli anni a seguire li ho spesi per imparare dai Beatles e i Rolling Stones, e poi da Jimi Hendrix, Cream, Crosby, Stills & Nash, fino ad approdare al progressive, che allora veniva chiamato pop. Fino a quel momento, ai complessi italiani erano concesse solo cover adattate in italiano o roba scritta dagli anziani maestri della canzone anni 50. Quando più tardi chiesi a Franco Mussida come si scrivesse un pezzo pop, lui mi rispose testualmente: “Eh, ti metti lì e lo scrivi!”. Compreso che non esistevano formule magiche, mi misi a lavorare guardando le cose da un’altra angolatura. Ad esempio, una ballata un po’ country in 3/4 alla Neil Young la trasformai in 4/4 e studiai un arpeggio di chitarra, forse il migliore della mia carriera, lasciando più corde libere possibili sullo strumento (sarebbe diventata “Morning Comes” degli Acqua Fragile).

(l’intervista di Mario Giammetti è sul numero 15 di Vinile)

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