Gli album del 1978: seconda parte

Continuiamo il nostro viaggio tra gli album del 1978.

Giorgio Gaber – POLLI DI ALLEVAMENTO

Pier Paolo Pasolini muore assassinato il 2 novembre 1975. La sua voce critica contro il Potere massificante e la cultura dell’omologazione attraversa e interroga il movimento del ’77, fino a trovare un’eco energica ed efficace nello spettacolo Polli di allevamento, che Giorgio Gaber porta in scena nell’autunno del 1978 e che diventa un album doppio grazie alla registrazione effettuata al teatro Duse di Bologna il giorno 18 ottobre. Una eco non solo inascoltata, ma in gran parte osteggiata e in qualche misura incompresa. L’accusa di assoggettarsi pedissequamente a modelli precostituiti, in cui la ribellione diventa un atteggiamento “di moda”, determina una presa di distanza anche dai codici stilistici e musicali: gli strumenti rock come chitarra, basso e batteria vengono soppiantati da un organico strumentale classico (un ottetto per fiati e archi) con gli arrangiamenti di Franco Battiato e Giusto Pio. L’attualità del pensiero di Gaber è tutta nei temi che affronta in questo spettacolo: l’assenza di figure di riferimento (I padri miei, I padri tuoi), la paura dell’altro e la tentazione dell’autodifesa a oltranza (La paura, La pistola), l’illusione del benessere che ci trasforma in macchine per il consumo (Gli oggetti), gli inconsistenti proclami dei politici (Salviamo ’sto Paese), ma soprattutto la risposta inadeguata e non costruttiva di una generazione inconsapevolmente ingabbiata in schemi (Quando è moda è moda). Un album scomodo, un j’accuse che potrebbe fornire anche oggi parecchi spunti di riflessione ma che, se nel 1978 fu contestato, ora viene semplicemente passato sotto silenzio. Alberto Menenti

Rino Gaetano – NUNTEREGGAE PIÙ

A furia di sentirsi dire dall’amico del cuore: “Ahò, nun te reggo più”, Rino Gaetano tira fuori dal cilindro la canzone più esplosiva del 1978, tanto da volerla come titolo del suo quarto album. Maestro d’ironia, abile nel dissimulare i messaggi attraverso espressioni che ne confondono apparentemente il senso, dietro il gioco di parole con il “reggae”, genere musicale che spopola in quel momento, Rino Gaetano mette a segno il pezzo più dirompente e di denuncia della sua carriera. Sulle sue apparizioni tv bisognerebbe soffermarsi per valutare l’impatto di questo Lp. Il tentativo, ogni volta, di spostare l’attenzione sulla leggerezza delle sue canzoncine-filastrocche e sul nonsense, non rende giustizia del valore artistico, sociale ed evocativo delle sue parole: “Vedo tanta gente / che non c’ha l’acqua corrente / e non c’ha niente / ma chi me sente / ma chi me sente?”. Tanti i temi legati al “mal d’Italia”: i privilegi, la corruzione e la speculazione edilizia in Fabbricando case (con il controcanto speciale di Francesco De Gregori); l’emigrazione, il dramma di chi è costretto a lasciare la propria terra, in E cantava le canzoni; l’emancipazione della donna e la comparsa della parola “sesso” in Gianna; la fine della rappresentanza politica e sindacale in Capofortuna. Era uno dei 33 giri più suonati da Radio Aut di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. Timisoara Pinto

Ivan Graziani – PIGRO

Otto storie graffianti che parlano di emarginati sociali, ma anche di personaggi ricchi di umanità. Era il 1978 quando Ivan Graziani giunse al culmine della sua maturità artistica con PIGRO, album caratterizzato da un linguaggio rock dalle mille sfaccettature. A un anno di distanza da I LUPI, contenente il suo primo successo Lugano addio, il cantautore abruzzese si distinse con composizioni decisamente vibranti di sensazioni ispirate dalla sua amata provincia, la stessa che appare con forza in Sabbia del deserto. Non più il rock romantico tipico degli anni 70, ma un più “robusto” rock’n’roll. Prodotto dallo stesso Graziani e supportato da eccellenti musicisti come il bassista Hugh Bullen, il batterista Walter Calloni e il tastierista Claudio Maioli, PIGRO offre molta raffinatezza e ricerca in ognuno dei brani. Il vero gioiello dell’intero album è Pigro, un rock acustico della durata di poco più di due minuti, perfetto nella sua costruzione, in cui viene esaltato il giusto equilibrio tra suoni duri e pacati. Ivan Graziani è sempre stato considerato un artista controverso, troppo spesso oscurato dalla sua natura schiva, ma autore di alcune pregevoli perle. E PIGRO è sicuramente una di queste. Giuseppe Panella

Mina – LIVE ’78

Nell’ultimo disco dal vivo di Mina, un doppio che rappresenta l’addio alle scene della più osannata interprete italiana e mostra la sua costante attenzione alla musica contemporanea, vi sono molti brani a firma di cantautori italiani, oltre che cover di Bee Gees, Queen, José Feliciano ecc. Dopo sei anni di assenza dai palchi, acclamata dai suoi fan e superando le sue esitazioni, nell’estate del 1978 Mina tornò al tendone estivo di Bussoladomani per una decina di concerti (le ultime date furono annullate per una polmonite). Sigla del live e del disco, pubblicato per Natale con le foto dell’ultimo concerto del 23 agosto, era un brano del ’77 del giovane Fossati, Stasera io qui, quasi una dichiarazione di resistenza: “La mia storia è una buona canzone / ed io no, non potevo / lasciarla finire così”. Sempre dal fossatiano LA CASA DEL SERPENTE, è pescata anche Non può morire un’idea, riproposta in una versione viscerale e da brividi. Impetuosa e disperata Sognando, pezzo che Don Backy aveva composto nel ’71 ispirandosi a un quindicenne chiuso in una casa di cura ed era riuscito poi a inserire solo nel ’78 in una commedia musicale a fumetti (e nel relativo Lp). Delicata e coinvolgente come una danza appassionata Margherita di Cocciante (1976), mentre sfoderano un’intensità lancinante (Ancora tu e I giardini di marzo) e una classe magistrale le cover di Battisti-Mogol. Non mancano ovviamente anche i successi di Mina dell’epoca, da quelli sensualissimi con i testi di Malgioglio a un’orgogliosa, a tratti quasi rabbiosa versione della splendida E poi… con musica di Shel Shapiro. Ambrosia J. S. Imbornone

Franco Simone – PAESAGGIO

Negli “anni di piombo” della nostra Italia, quando l’aria non era certo delle più leggere, fecero il loro esordio nel mondo della canzone tutta una serie di nuovi cantautori di diversa estrazione e personalità. Molti di loro, giustamente, si occupavano di ciò che meglio sapevano fare, ovvero comporre canzoni e cantarle. Tra questi ultimi, un posto particolare lo merita Franco Simone. Vittoria al Festival di Castrocaro nel 1972, partecipazione a Canzonissima nel 1973 e al Festival di Sanremo nel 1974, vari riconoscimenti ottenuti e soprattutto all’attivo una manciata di belle melodie da cantare a voce e a cuore aperti: due su tutte, Tu… e così sia e Respiro. Il 1978 è l’anno della pubblicazione del suo quinto Lp, intitolato PAESAGGIO, prodotto dal fido Ezio Leoni (direttore artistico della Ri-Fi), arrangiato dal bravo Beppe Cantarelli e composto da nove inediti scritti interamente da Simone più la versione italiana di Vou dar de beber à dor, in origine cantata da Amália Rodrigues, diventata La casa in via del Campo. L’originale voce del “poeta con la chitarra” è sempre vibrante e piena di sentimento, non stucchevole per la verità ma attenta a dare il giusto peso alle parole imprimendo il suo marchio di fabbrica su canzoni come Gocce, La ferrovia, Tardi e Si può anche nascere. Andrea Direnzo

Roberto Vecchioni – CALABUIG, STRANAMORE E ALTRI INCIDENTI

Pubblicato nell’agosto del 1978, mentre l’Italia è ancora scossa dai cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro a opera delle Brigate Rosse, culminati il 9 maggio con l’uccisione dello statista, CALABUIG, STRANAMORE E ALTRI INCIDENTI è uno degli album più emblematici della discografia di Roberto Vecchioni. Completa, infatti, una trilogia di concept aperta con ELISIR nel 1976, dedicato al viaggio, e proseguita l’anno seguente con SAMARCANDA, che ruotava intorno al tema della morte. In questo caso, il filo rosso che lega i brani è il cinema, visto come rifugio dalla realtà che ci circonda. Seguendo un intreccio narrativo brillante e denso di lirismo, il disco si dipana dalla splendida Stranamore (pure questo è amore), passa attraverso l’intreccio tra presente e passato di Ninni e la dedica alla donna amata A te, per toccare con Calabuig e Sette meno uno le atmosfere folkie di Samarcanda. Superba la sequenza finale con Il capolavoro, Il castello e la poetica L’estraneo, un brano dal testo criptico e ricco di addentellati letterari nel quale riaffiora il tema del viaggio e degli eterni ritorni. Riascoltati oggi, gli arrangiamenti di Mauro Paoluzzi non hanno perso smalto, orchestrando perfettamente il contributo di strumentisti eccellenti come Lucio “Violino” Fabbri, Stefano Pulga, Billy Zanelli, Najmi Hacket e Luciana Paoluzzi. Salvatore Esposito

Renato Zero – ZEROLANDIA

Anno 1978, quarant’anni fa. In Svezia, a livello musicale, sono gli Abba a farla da padrona, come del resto in mezzo mondo è la dance music a spartirsi il mercato che conta; il rock mondiale viene ridimensionato e ridicolizzato dal punk, mentre in Italia l’aria che si respira è tutt’altro che allegra e la contestazione, sia essa politica che sociale, è la priorità nei testi di chi scrive musica. Ci sono i cantautori a monopolizzare il mercato, ma anche un certo Renato Zero che, proprio in quell’anno, fa uscire il suo ZEROLANDIA, disco che segue il fortunato ZEROFOBIA di Mi Vendo. Un album più che coraggioso, sfacciato, per certi versi (considerando il periodo) pornografico. E sono proprio i suoi testi a colpire, ad affondare tutto e tutti. Triangolo resterà nella storia della discografia italiana, Sbattiamoci sconvolge, Fermati riprende i cantautori francesi a conferma della miriade di anime che si agitano in Zero. È un disco che stravende, 900 mila copie in quell’anno, settimo posto in classifica. È un album che si fonda sul rock e sulla disco, ma che porta dentro già quella maturità artistica che sfocerà di lì a poco nei dischi successivi e che consacrerà definitivamente l’artista quando, l’anno successivo, darà alle stampe EROZERO. Nessuno riuscirà mai a imitarlo. Era l’anno azzeccato il 1978, uno dei più duri, l’ideale per scandalizzare e stravolgere, perché in Italia, all’epoca, nessuno sapeva ancora cosa fosse lo strato di ozono. Alberto Dalla Libera

L’articolo completo, a cura di Alberto Menenti, Timisoara Pinto, Giuseppe Panella, Ambrosia J. S. Imbornone, Andrea Direnzo, Salvatore Esposito, Alberto Dalla Libera è su Vinile n. 15, disponibile qui.

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