La copertina del mese: IL PRIMO VERO BOWIE

Nel 1971 David Bowie aveva ancora tutto da dimostrare. Il suo ultimo singolo, The Prettiest Star era stato un flop, e non aveva saputo sfruttare a suo vantaggio l’inerzia di Space Oddity. Il suo terzo disco, The Man Who Sold The World languiva negli uffici della Mercury Records, senza una data di uscita ben definita. Il suo chitarrista, Mark Ronson, aveva lasciato Londra per tornarsene a casa sua. Inoltre Bowie aveva appena licenziato il manager che lo seguiva da cinque anni, Ken Pitt.

Depresso e sbandato, si era ridotto ad esibirsi nei locali della parte sud di Londra per poche sterline a serata, in un momento di triste sincerità aveva persino ammesso con un giornalista di sentirsi “Esaurito, una vecchia rockstar ormai stanca”. Una vecchia rockstar alla ‘veneranda età’ di soli 24 anni, dopo sette di una carriera iniziata precocemente, con tre dischi alle spalle e un mucchio di sogni infranti. Bowie assisteva da bordo campo alle vittorie dei suoi amici e rivali, Marc Bolan, Elton John, che iniziavano la scalata musicale.
Non avendo nulla da perdere, nella sua ora più cupa, si rifiutò di mollare. Dopo anni ha ammesso: “A volte posso aver pensato: ‘Dio, non credo avrò mai successo’, ma mi riprendevo in fretta. Mi piaceva troppo quel mondo. Mi piaceva comporre, mi piacere registrare i dischi. Per un ragazzo, era una cosa favolosa”. Dopo anni passati a imitare lo stile r&b o dei locali folk, quel ragazzo biondo, stava iniziando a conoscersi e scoprire il proprio stile. “E fu una collisione di stili musicali tutti diversi. Mi resi conto che non potevo – né volevo – legarmi a un genere o a uno stile. […] Il mio vero stile accarezzava l’idea di mescolare Little Richard e Jacques Brel, con i Velvet Underground a reggere il tutto. ‘Come sarebbe sembrato?’. Non lo faceva nessuno o almeno nessuno lo faceva come lo facevo io” Ha raccontato Bowie qualche anno fa a Classic Rock.

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La sua rivelazione sarebbe stata alla base di HUNKY DORY, la caleidoscopica collezione di brani pop che determinò l’arrivo di Bowie alla meta, e segnò l’avvio di una serie epocale di dischi per tutti gli anni ’70. Hunky Dory sarebbe stato il primo grande classico.
In quel periodo viveva con la (ex) moglie Angie Bowie in una casetta vittoriana da 8 sterline a settimana, arredata con cianfrusaglie provenienti da Carnaby Street, tappeti orientali e pesanti tendaggi neri che impedivano alla luce di entrare, era la versione personale di Bowie alla casa di una rockstar decadente. Potevamo trovare Bowie ingobbito sull’oggetto troneggiante del salotto, un pianoforte a coda; una novità per Bowie che era passato a questo strumento dopo aver abbandonato la sua abituale chitarra acustica. “Amava quel piano” ricorda Angie, “David era un musicista fantastico, perché il suo approccio allo strumento non era classico, ma intuitivo”. Comporre al piano lo avvicinò a moltissimi stili musicali, inoltre, era un periodo di scoperte, il suo nightclub preferito (una discoteca gay chiamata Sombrero) che lo portò ad aprirsi alla libertà sessuale; rimase affascinato dal trucco esibito con ostentazione, tanto da trarne ispirazione per i suoi brani e il suo look.
Un periodo fondamentale per il David Bowie che tutti hanno conosciuto e amato.

Quando partì per un tour promozionale negli USA, nella terra dei suoi eroi, Andy Warhol e Jack Kerouac, attraversò il paese parlando di THE MAN WHO SOLD THE WORLD con radio e giornalisti. Di notte si divertiva trangugiando quante più pillole poteva e scopando tutte le donne su cui riusciva a mettere le mani. Ma la cosa che più lo affascinava erano due artisti lui affini, Lou Reed e Iggy Pop. E così Bowie buttò giù un’idea di un “idolo pop supremo” che combinasse le capacità di compositore nella frenetica vita della metropoli di Reed con lo stage persona quasi da cartoon di Iggy.
E così Hunky Dory “Rifletteva il mio nuovo entusiasmo per questo nuovo continente che mi si era aperto davanti. Tutto s’incastrò perché ero stato negli USA” disse Bowie nel ’97.

E così vi abbiamo raccontato solo l’inizio di una storia meravigliosa, come quel giovane e sconfitto ragazzo biondo è diventato DAVID BOWIE, la star internazionale. Un racconto ricco di dettagli e fotografie inedite di sei pagine vi aspetta sul numero #48 di Classic Rock, un articolo che vorrete leggere e rileggere all’infinito!

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