Rocket Man – I dischi di Elton John degli anni 70: HONKY CHÂTEAU

È giunta l’ora di rendere omaggio a Elton John e ripercorrere i suoi fantastici anni 70.

Un estratto dell’articolo di Renzo Stefanel pubblicato su Classic Rock 79, in edicola e online!

HONKY CHÂTEAU
DJM, 1972

È l’album dei primati: primo Lp di Elton John al numero 1 in Usa (raggiunto il 15 luglio 1972 e mantenuto per 5 settimane); primo a restare nella “Hot 200” di «Billbo- ard» per oltre un anno; primo Lp da Top 3 in UK; primo 45 giri in Top 3 UK (ovviamente Rocket Man, n. 2 il 22 aprile); primo Lp a contenere più di una hit da Top 20 in USA (Rocket Man, n. 6, e Honky Cat, n. 13); primo disco con il chitarrista Davey Johnstone, ex Magna Charta, aggiunto in pianta stabile al bassista Dee Murray e al batterista Nigel Olsson nella Elton John Band; infine, il suo primo album di studio a essere registrato lontano da Londra.

Il movente? La pesante tassazione del governo laburista inglese che ha già fatto scoprire agli Stones le gioie della douce France tra giugno 1971 e marzo 1972. Scartata una villa in Provenza, Gus Dudgeon s’imbatte nello Château d’Herouville, finora noto alle cronache rock solo per un estemporaneo live dei Grateful Dead del 1971: costruito nel 1740, a due passi da Parigi, dal 1969 era stato dotato di piscina, sala giochi, campo da tennis e un moderno studio di registrazione dal proprietario, il compositore francese Michel Magne.

Elton John ne farà la fortuna, visto che negli anni successivi ci verranno tutti i più bei nomi inglesi, dai Pink Floyd a David Bowie. Quando la crew arriva al castello, a gennaio 1972, Elton e Bernie Taupin hanno solo un paio di testi scritti e zero note. Decidono di lavorarci sin dall’ora di colazione, posizionando nella sala a essa dedicata pianoforte, batteria e amplificatori: in tre giorni nascono così nove canzoni.

Ecco come funziona: Bernie, in camera sua, seduto sul letto, butta giù il testo e lo lima. Poi scende e lo dà a Elton, che lo musica. L’ispirazione è altissima: sotto gli occhi di Dudgeon, Elton compone in mezz’oretta la musica di Rocket Man, tra un succo d’arancia e un paio di uova sbattute. Quel testo Bernie in realtà l’ha iniziato a buttar giù qualche mese prima, affrontando in auto una curva per le strade del Lincolnshire. Una folgorazione, alla vista di una stella cadente o di un aereo in lontananza, cui si sarebbero aggiunte poi reminiscenze dell’omonimo racconto di Ray Bradbury e della canzone omonima dei Pearls Before Swine. Non avendo carta e penna per annotarsi i primi versi, corre a casa, guidando per due ore. L’accostamento tra lo smarrimento nello spazio e nella droga (“I’m gonna be high as a kite by then”) ricorda Space Oddity, prodotta nel 1969 sempre da Gus Dudgeon, e infatti Bowie se ne risentirà, esclamando, nell’esecuzione del suo successo del 1969, durante un live radio alla BBC il 22 maggio, tre giorni dopo l’uscita di HONKY CHÂTEAU: “I am the Rocket Man!”.

L’atmosfera è produttiva, ma non sempre rilassata. Stuart Epps, l’assistente personale di Elton, lo lascia spesso vincere a ping pong per non irritarlo. Invece la moglie brasiliana di Gus Dudgeon spesso a pranzo ci litiga, concludendo con un bel “non puoi essere così stupido, cazzo!”. Al che Elton si alza da tavola e se ne va: nel mezzo Gus a far da pompiere, a volte senza successo. E poi, le presenze spiritiche (si dice quelle di Chopin e della sua amante Georges Sand), che tanto turberanno Bowie e Iggy Pop nel 1976: secondo Taupin, “c’era sicuramente qualcosa di etereo nell’aria”; per Davey Johnston, il castello “era infestato. Quasi ogni giorno qualcuno veniva colpito sulla spalla mentre scendeva lo scalone”. Ma siccome tutti fumano ed Elton beve, nessuno ci fa tanto caso. Nasce così un capolavoro.

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