THE DOORS: pellicole da vedere e da dimenticare

Il film più famoso sui Doors è un film sbagliato. Per fortuna, a raccontare la loro storia ci hanno pensato anche altri.

Si contano sulle dita di una mano i film dedicati ai Doors – decisamente pochi rispetto alla bellezza della loro musica e alla potenza infettiva della loro immagine carismatica. E comunque tutti i titoli sul tavolo sono stati sparigliati dal kolossal di Oliver Stone del 1991, The Doors appunto.

“The Doors” di Oliver Stone

Stone che rimette in discussione tutti i miti degli anni 60, Morrison compreso. E dunque, un film sulle “porte” di Morrison, a 20 anni esatti dalla morte del loro re Lucertolone. Aveva solo ventisette anni, ma era già entrato nella leggenda della musica rock e del movimento giovanile. Un’icona praticamente eterna. Ed è proprio la retorica del mito che condanna il film e il suo regista, che qui tira fuori tutto il meglio e tutto il peggio del suo modo di fare cinema: ovvietà, moralismo, retorica appunto. Si comincia con l’incubo messicano di quando Morrison (Val Kilmer) era bambino, sulla musica di Riders On The Storm: “È solo un sogno Jimmy, è solo un sogno”. Poi Venice Beach metà anni 60, l’incontro con Pam, il saggio cinematografico all’UCLA già con qualche problema (orsi, ballerine, nazi, masturbazione…). Quindi la fuga verso la droga, la nuova percezione, la musica, il cinema, l’autodistruzione. I colori di Stone sono sempre forti, contrastati, contano la luce, i dettagli, le facce. E poi i discografici, i contratti, il peyote, la meditazione e la poesia. Il rifugio nel deserto, l’acido collettivo, l’Inferno di Los Angeles e il Paradiso della flower generation. Nel 1967, l’anno del primo album, i Doors sono a New York, tra gli assalti dei fan e il passaggio scandaloso all’Ed Sullivan Show. La scena si è spostata per strada, è diventata teatro, ascesi, Brecht e Rimbaud. Tutto perfetto, ricostruito, esagerato, hollywoodiano. Ormai il mito è fatto: “Jim Morrison, il dio del rock e del cazzo”, come gli dice una fotografa. Ed è tutto un precipitare verso il fondo, tra live feroci, acidi massacranti e carrelli che se ne vanno verso il cielo in cerca di una redenzione impossibile. Fino alla fine, la fuga a Parigi, la morte in una vasca da bagno e l’eterno riposo al Père Lachaise. Sempre continuando a vendere dischi come quando era vivo e bello, signor Stone… Eppure le storie, le testimonianze, erano chiare, e poi bastava ascoltare i dischi, quelli non mentono mai: di tutta la stagione californiana, i Doors erano (nonostante il film di Stone) decisamente la band più eversiva, micidiale, poetica, carismatica e misteriosa insieme.

“The Doors in Europe” di Paul Justman

Ma veniamo ai documentari, come per esempio The Doors in Europe di Paul Justman. Si vede il loro arrivo a Francoforte, i Doors che scendono dall’aereo e si presentano alla telecamera: “Densmore, batterista…”, “Krieger, chitarrista…”, “Manzarek, tastiere…”, “Jim…”. Morrison s’incanta, come non sapesse quale sia il suo ruolo, e fa una faccia grande in primo piano e una smorfia che valgono il film. Con loro ci sono i Jefferson Airplane, e Paul Kantner dice: “I Doors sono all’inizio di tutto, gli altri hanno preso da Jim, tutti. Nella sua dissolutezza era come un artista di blues… Andava nel bagno, suonava l’armonica, si drogava e saliva di nuovo sul palco. Aveva eleganza e forza”. E racconta della felicità di Jim, della sua gioia di essere in Europa, talmente felice che sul palco di Amsterdam ha cominciato a girare come una trottola ed è crollato, e i Jefferson hanno aperto il concerto al posto dei Doors… E ci sono altri momenti di grande emozione, di grande forza, che ancora oggi ti portano dentro l’anima profonda di Jim. Come quando durante una lunghissima micidiale When The Music’s Over si ferma per urlare “Gesù salvaci…!”, e basta quell’attimo per fare giustizia di tutti i convertiti e i militanti arrivati prima e dopo di lui, da Dylan a Bono. O come quando si perdono, lui e gli altri della band, per le strade e i canali di Amsterdam sul ritmo divertito di Hello I Love You. E infine una sequenza da brivido, terribile, durante il live di Unknown Soldier, con Densmore che ferma di colpo il tempo della canzone e inizia una lunga rullata, mentre Jim scandisce gli ordini militari di una fucilazione, mangiandosi il microfono, e Krieger che alza il pugno di spalle, e parte l’esecuzione con Morrison che stramazza sul palco, “soldato sconosciuto” del rock… Lo avevano già fatto un anno prima, in televisione, con allusioni più dirette al Vietnam, con fiori e sangue, ma erano stati immediatamente censurati.

“The Doors Are Open” di John Sheppard

Da vedere anche The Doors Are Open di John Sheppard, anche se più confuso e legato al 68 e a quello che succede in USA in quell’anno. Tuttavia, sono da ricordare alcune risposte folgoranti di Morrison alle varie interviste, come quella sulle superstar (“Penso che di questi tempi, soprattutto negli USA, devi essere un politico o un assassino… per diventare una vera superstar”); e inoltre il lavoro fatto da Sheppard sui pezzi live, la capacità della band di tenere tempo e tensione anche su brani di 10 minuti, l’improvvisazione, la complicità e la compattezza della band che viaggia ormai come un’entità unica, perfetta e magica.

“Feast Of Friend” di Ray Manzarek

Sulla stessa linea si muove anche il Dvd Feast Of Friends, di Ray Manzarek (tastierista dei Doors), riedito recentemente. Il film infatti riguarda soprattutto il tour del 1968, con immagini in gran parte inedite, compresa un’esecuzione straordinaria di The End del 1967. Praticamente, l’unico film sui Doors fatto dai Doors.

“When You’re Strange” di Tom DiCillo

Foto via: www.moviedigger.it/the-doors-when-youre-strange-di-tom-dicillo/

E infine c’è un bel film, When You’re Strange, scritto e diretto da Tom DiCillo (già autore di due gioielli rocchettari come Johnny Suede e Delirious), edito in Italia nel 2011 nella collana Feltrinelli “Real Cinema”, che utilizza immagini della band e di repertorio, a cavallo tra gli anni 1967 e 1968. Al film hanno tra l’altro  collaborato tre “ex porte”, Manzarek, Densmore e Krieger, proprio perché vuole essere un film anti-Stone, nel senso che è un film sulla band e non sul solo Morrison, raccontando le disavventure umane e artistiche di quattro giovani sognatori verso la fine degli anni 60. E lo fa con intelligenza e originalità, utilizzando anche qui immagini preziose mai viste, come il film-saggio che Jim Morrison aveva girato all’UCLA, un road trip sperimentale sotto acido che apre il capitolo dei viaggi ad alta tensione… Ed è con questo mix di finzione e di materiali di repertorio che DiCillo rivisita la storia dei Doors da dietro le quinte, per scoprire segreti e chiavi di lettura di questo leggendario gruppo, che ha deciso di utilizzare il jazz per far saltare le regole del rock. E insieme la messa in evidenza di alcuni tratti tra i più neri e nascosti della personalità di Jim, la particolare attenzione data all’alchimia tra i musicisti, la loro musica, una vicinanza e un’intimità con la band che non esisteva negli altri film. Un film che mette in evidenza anche i paradossi del gruppo, fino alle estreme conseguenze che tutti conosciamo. Ma senza dimenticare mai la musica e l’umanità e la vita delle persone.

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