Mick Box racconta gli Uriah Heep

Il chitarrista degli Uriah Heep parla degli amici scomparsi, di come in Germania Est fece il figo con il suo giubbotto di jeans e di quando dormiva nei gabinetti.

Mick Box ha compiuto da poco 68 anni ed è uno dei grandi vecchi del rock.
Ma non mostra segni di voler rallentare.
Gli Uriah Heep hanno appena pubblicato un nuovo disco, outsider, ripieno di tutte quelle tipiche cose alla Heep, come il suono dell’Hammond, armonie epiche, e i riff di Box,
taglienti come sempre.
“È il nostro ventiquattresimo disco”, dice mentre ci offre una tazza di tè
nella sua elegante casa nel nord di Londra. “O almeno così mi pare”.

Outsider è il primo disco degli Uriah Heep dal 1985 senza il bassista Trevor Bolder.
Aspettavamo che si riprendesse, ma poi le cose sono andate diversamente e d’un tratto
lui non c’era più (Bolder morì di cancro nel 2013).
In studio non abbiamo mai smesso di parlare di lui, come se fosse ancora con noi.
La sua presenza ci ha accompagnati per tutto il tempo.

Canzoni come la title-track e The Law dimostrano che non vi siete ammorbiditi.
Assolutamente no. In quello che facciamo ci sono la stessa passione ed energia di prima.

Ti è mai successo di ritrovarti tra le mani un nuovo riff per chitarra e poi di renderti conto: “Merda! Ma è come quello di Easy Livin’ again”.
Certo che sì [ride].
La prima cosa da fare con un nuovo riff o una nuova melodia è una bella ricerca.
Lo suoni a un amico e gli chiedi se l’ha già sentito.
La stessa cosa con i testi: abbiamo eliminato parole come ‘fire’, ‘higher’ e ‘desire’,
perché è troppo facile ritrovarle in altre canzoni.

schw62

Il cantante Bernie Shaw e il tastierista Phil Lanzon sono con gli Heep da più tempo di
David Byron e Ken Hensley, due dei fondatori.
Quand’è che credi smetteranno di essere considerati dei sostituti?
Credo mai.
Ma gli Heep hanno una storia molto forte, e dobbiamo esserne fieri.
Al tempo stesso, è facile restarne intrappolati. A volte lo vedo quando siamo in tour con
altri gruppi che suonano solo le vecchie cose, e francamente non c’è vita.
Io cerco di rimanere sempre vivo, sia come autore che come musicista.

Quand’è stata l’ultima che hai avuto un “lavoro regolare”?
Negli anni Sessanta lavoravo per una compagnia di esportazioni nella City.
Ma poi dissi a mia madre che volevo fare il musicista, e che avrei continuato solo
finché non fossi riuscito a pagarmi le modifiche che volevo per la mia Gibson Les Paul.
Certe notti avevo solo quattro ore di sonno tra quando tornavo da una serata e quando dovevo alzarmi per andare a lavorare.
Ogni tanto facevo un sonnellino nei gabinetti, e avevo un accordo con il mio amico.
Quando servivo lui tirava una spugna nel box, per svegliarmi.

Da dove avevi preso l’ispirazione per i tuoi primi gruppi, The Stalkers e gli Spice?
Be’, era il momento degli Shadows e dei Beatles.
Ma a metà degli anni Sessanta era diventato quello dei Move e dei Who.
Ero in un pub a Londra e vidi gli Who.
Tutti gli altri gruppi cercavano di evitare il feedback, ma Pete Townshend lo usava per colpirti e stenderti ko.
Dopo averlo ascoltato suonare così forte mi resi conto che era il momento di comprare un muro di Marshall.

Quanta competizione c’era tra voi Heep e i Deep Purple?
Non era competizione.
Cercavamo ognuno di trovare la nostra strada.
I Purple e gli Heep usavano entrambi gli studi all’Hanwell Community Centre.
Ma i Purple scelsero la strada del virtuosismo, mentre noi seguimmo quella delle armonie vocali.

Gli Heep hanno sempre avuto la fama di gruppo che suona in posti dove nessun altro è mai andato – Russia, Corea del Sud, India – e questo fin dagli anni Settanta.
Il nostro motto è ancora:
“Se loro non possono venire da noi, porteremo noi la musica a loro”.
Abbiamo suonato a Berlino Est negli anni Settanta. Avevamo i giubbotti di jeans e la gente attraversava la strada solo per toccarceli.

Mick Box 2

Qual è il posto più strano dove avete suonato?
Una miniera di sale nella parte Est della Germania, nel 2008.
Era molto profonda e ci vollero due ore per far arrivare tutto il pubblico.
Abbiamo suonato anche nella prigione di Rottenburg, sempre in Germania.

E una volta che il concerto è finito, come vi scatenate?
Mi basta un drink, e magari qualcosina per stare un po’ sveglio.
Ma droghe mai.
Il fatto è che sono uno di Walthamstow e ho i piedi ben piantati per terra.
Mi sono divertito, non lo nego, ma non ho mai fatto nulla che non volessi fare.

A metà degli anni Ottanta avevate dei pantaloni a righe favolosi.
Gli Heep sono mai stati tentati di adottare il look alla Whitesnake,
capelli al vento e fascinosi?
Amico, era impossibile [ride].
La musica è sempre venuta prima. Non volevo rimanere intrappolato in un look del genere,
e mi sono anche detto che da vecchio non volevo ritrovarmi con il parrucchino e il cerone.

Ripensando alla carriera degli Heep, lunga 45 anni, hai dei rimpianti?
Ma certo. La perdita di David [Byron, il primo cantante morto di disturbi al fegato nel 1985, ndr] e di Gary [Thain, bassista, che morì per overdose di eroina nel 1975, ndr].
All’epoca nessuno ti insegnava nulla sulle droghe.
Quando gli amici hanno iniziato a morire, ci siamo svegliati.
Un’altra cosa che rimpiango è che fare questo mestiere non è sempre d’aiuto per la vita privata.

Quando non sei Mick Box degli Uriah Heep che fai?
Calcio e famiglia.
Sono un tifoso degli Spurs [soprannome della squadra del Tottenham, ndt]
e così sconto i miei peccati.
Sai, dopo mesi passati in furgoni, macchine aerei, è un piacere togliersi il berretto da rocker,
mettere quello del papà e guardare mio figlio di 13 anni giocare a rugby o a calcio.

Quando dormivi in quel gabinetto saresti riuscito a immaginare che cinquant’anni dopo saresti stato ancora un musicista professionista?
Assolutamente no.
Ma è tutto merito delle canzoni. E poi sono un combattente. Credimi, non mollo mai.

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