LED ZEPPELIN: o la gloria o la morte

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Il processo che portò i Led Zeppelin a scrivere il loro capolavoro vacillò fra la gloria e la morte…

Quando nell’aprile del 1970 i Led Zeppelin tornarono dal loro ultimo tour negli USA (niente New York, niente LA, solo 25 concerti nel cuore della Bestia), quello che Robert Plant chiamava “il livello di pazzia” era schizzato alle stelle. John Bonham, la cui nostalgia di casa sembrava cresciuta in modo direttamente proporzionale alla popolarità della band, aveva iniziato a bere sempre di più e a sfogare la sua frustrazione sulle camere d’albergo. Il concerto nello stadio di hockey di Pittsburgh, alla fine di marzo, era stato interrotto quando nel pubblico era scoppiata una rissa. In altre occasioni, la polizia se l’era presa con i membri del gruppo, incolpandoli della furia incontrollata del loro pubblico. “Non credo che torneremo in America a breve”, commentò John Paul Jones alla fine del tour.

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Gli USA ti fanno sbarellare. Il problema è tornare a posto, una volta che sei a casa”. Anche Plant ne aveva sofferto. “Robert sembrava sull’orlo del collasso, più di tutti gli altri”, annotò in seguito il tour manager Robert Cole.

Proprio mentre gli Zeppelin toccavano i vertici della loro fama on the road, si ritrovavano su un crinale...

Come al solito, alla fine del tour i Led Zeppelin si rifugiarono a West Hollywood, anche se non più allo Chateau Marmont – gli omicidi di Charles Manson l’anno prima avevano reso paranoica LA e il loro manager Peter Grant dichiarò che i bungalow isolati a Marmont erano un bersaglio troppo ghiotto per un qualsiasi "schizzato”, in particolare per quelli che avevano seguito il gruppo in tour. Al posto del Marmont si sistemarono alla Hyatt House (o “riot house”, la casa dello sballo, come la definirono Bonzo e Plant), a pochi isolati dal Sunset. Lì una scia senza fine di ragazze trovava la strada per il nono piano, dove il gruppo si era ritirato per una settimana. Richard Cole ricorda che la limousine dei concerti era talmente carica di ragazze che “la marmitta si era inchiodata nel vialetto del posto, e così dovemmo trainarla… una pazzia”.

British rock singer Robert Plant (L) of the band Led Zeppelin and the group's road manager, Richard Cole, relax on a bed covered by a fur rug and discuss details of their upcoming concert, New York City, New York, July 30, 1973. (Photo by Express Newspapers/Getty Images)

Eppure, proprio mentre gli Zeppelin toccavano i vertici della loro fama on the road, si ritrovavano su un crinale. Varcandolo, avrebbero iniziato a realizzare la musica immortale per cui sarebbero stati ricordati. LED ZEPPELIN II, col suo successo fenomenale, fu solo il primo passo. In effetti, con i loro primi due album avevano solo iniziato a percorrere la strada che avrebbe cementato la loro reputazione e fatto di loro uno dei più grandi gruppi di tutti i tempi. Quei primi passi li avrebbero portati a realizzare quello che è probabilmente il loro primo autentico disco come gruppo, LED ZEPPELIN III...

Questo articolo appare originariamente nel numero #59 di Classic Rock!

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