Opeth – Recensione – Pale Communion

Opeth Pale Communion

Artista: Opeth

Titolo: Pale Communion

Etichetta: ROADRUNNER

Autore: Lorenzo Becciani

 

Volevamo di più!
Mikael Åkerfeldt aveva annunciato un album più heavy rispetto all’introspettivo Heritage,
ma la sua passione per la materia retro-prog si è rivelata preponderante e la difficoltà nel coniugare entrambe le anime della band, quella aggressiva e quella sperimentale, è ormai palese. La complessa gestazione aveva fatto sperare in un colpo d’orgoglio, eppure l’ispirazione di Ghost Of Reveries e Wathershed sembra relegata al passato.
Si rivela un approccio vocale più melodico, al servizio di splendidi assoli di chitarra e arrangiamenti complessi e ampollosi, che avranno dato filo da torcere in sede di mixaggio a Steven Wilson, che è comunque riuscito a compire un miracolo, pur intervenendo in un contesto privo di sorprese.
Cusp Of Eternity è un esempio dell’impasse in cui cade sovente l’album: oltre cinque minuti per dire qualcosa per cui sarebbero stati sufficienti trenta secondi.
Decisamente più interessanti gli arrangiamenti di Eternal Rains Will Come, esplicito omaggio a EL&P, e Moon Above, Sun Below, per i quali si comprende la scelta di registrare in Galles ai celebri Rockfield Studios, frequentati dai Queen a metà anni Settanta.
Dal nome principale della scena retro-prog, era comunque lecito attendersi di più.

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