DEF LEPPARD: più forti di tutto

Foto via: www.billboard.com

11 dischi di studio, 26 hit tra i singoli in UK, oltre 100 milioni di dischi venduti, un incidente d’auto quasi fatale, una morte tragica… Questo e molto altro nei primi 40 anni dei Def Leppard

È in ritardo. Ed è insolito. Nei quarant’anni che l’ho frequentato, Joe Eliott è sempre stato un professionista ineccepibile – anche quando dentro si sentiva morire. Ma oggi, be’… si è alzato tardi. A Londra è ancora mattina presto e per lui stanno iniziando 12 ore di interviste e incontri promozionali. Dopo anni passati a contrastare il digitale, finalmente i Def Leppard hanno concesso il loro catalogo per lo streaming. Risultato: i classici capolavori dei Leppard, dischi come PYROMANIA e soprattutto HYSTERIA, sono finiti dritti in testa alle classifiche in tutto il mondo.Abbiamo resistito così a lungo a causa del contratto che avevamo con la nostra prima etichetta, la Mercury, firmato addirittura quando i Cd ancora non esistevano, per non parlare della possibilità di ascoltare la musica col telefonino”, ci spiega. “All’epoca non avevamo mica i cellulari. E così, quando il nostro contratto discografico è cessato [nel 2009] siamo stati in grado di decidere cosa volevamo fare di noi stessi, senza pressioni esterne. Ma eravamo sempre in tour, la gente continuava a comprare i Cd e in pratica non abbiamo affrontato la questione fino a due anni fa”. E così eccolo qui oggi, con addosso una vecchia maglietta, ancora insonnolito. Ma sembra sempre almeno dieci anni più giovane dei suoi 58. Porta ancora i capelli lunghi, dritti e con un tocco biondo, che gli sta molto meglio del suo colore naturale, un castano scuro. Anzi, diciamola tutta: ha ancora tutti i capelli.

Prendiamo un caffè e nel suo cappuccino rovescia una dose super di zucchero. Ci parla di un pezzo che lui e Rick Savage hanno appena fatto per The One Show, nella stanzetta degli studi a Sheffield dove provavano da adolescenti – una versione acustica di Pour Some Sugar On Me. È un palazzo sotto tutela delle belle arti, per cui l’esterno è rimasto lo stesso, ma dentro col passare del tempo è stato completamente ristrutturato. “Ora è un posto molto da artisti. La gente ci fa abiti, dipinti, cose del genere. Ma quando mi sono affacciato alla finestra, è stato come tornare al 1978”.

Ed è anche un ottimo punto di partenza. Che età avevi, quando hai lasciato Sheffield?
Avevo ventuno anni. Ho fatto la valigia, preparato  uno scatolone e mi sono trasferito a Londra dopo il tour per ON THROUGH THE NIGHT. Ma in un certo senso avevo già lasciato casa prima di partire per quel tour. Avevo bisogno del mio spazio, Cristo, avevo fatto un disco!

Ti trasferisti in un appartamento dell’ex batterista dei Leppard, Frank Noon, un posto che in seguito descrivesti come un “ostello”.
Era fantastico. C’eravamo io, Bernie Tormé, Frank, Colin Bond che suonava il basso [per gli Stampede]. In pratica, un dormitorio. A centotrenta sterline al mese.

E che età avevi quando hai iniziato a vedere i primi soldi veri?
Lo sai che anche ai tempi di PYROMANIA, quando riempivamo le arene, prendevamo circa 30 sterline alla settimana? Quando vivevo a Isleworth con la mia ragazza, prendevamo entrambi il sussidio. Una volta in tour, arrivammo a cento dollari alla settimana. Ecco perché eravamo tutti incazzati. Ricordo una volta nel settembre del 1983, eravamo a Las Vegas, comprai una video camera perché volevo registrare quello che si faceva. Costava 500 sterline. Dovetti farmele prestare da Peter Mensch [manager dei Leppard, ndr]! Eppure avevamo venduto sei milioni di dischi…

Anche se i Leppard furono associati alla NWOBHM – grazie alla copertura che vi diede la rivista «Sounds» – le vostre influenze musicali avevano poco a che fare col metal: tu eri un grande fan di Bowie, ascoltavate i Queen, Rod Stewart, Elton John…
Sì. Il mio periodo preferito di Bowie va da SPACE ODDITY a DIAMOND DOGS, perché era glam rock. Un altro gruppo che ho amato sono i Mott the Hoople. Quando arrivarono i Queen, Bowie passò quello che ha definito il suo periodo “dall’anima di plastica”, con YOUNG AMERICANS. Ho amato quel disco, ma ascoltavo molto di più i Queen. Forse sono sempre stato attirato di più dai gruppi. Sai, il fattore gang. I primi due concerti che ho visto furono i T. Rex e i Faces. Nulla di che, col senno di poi, ma per me furono spettacolari! Avevo dodici o tredici anni. E poi fu la volta di Hunter-Ronson, nel marzo del ’75. Avevo sedici anni e fu stupefacente. Da quel momento in poi, andai a tutti i concerti che si fecero alla Sheffield City Hall – Sparks, Roxy, Skynyrd, Lizzy, Budgie. Il primissimo concerto dei Rush in Inghilterra fu a Sheffield. Una settimana, andai a vedere prima gli Styx e poi i Clash.

Eppure, vi piacesse o meno, nel 1979-80 eravate un gruppo della new wave metal…
Ero felice di apparire su «Sounds», ma leggevi gli articoli che facevano su di noi e pensavi: “Amico, ma dove li vedi questi legami tra lo stile musicale nostro e quello dei – diciamo – Vardis?”. Piazzarci nella NWOBHM fu come metterci assieme ai Duran Duran e agli Spandau Ballet.

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