Dal numero 76 di Classic Rock, un breve estratto dell’articolo dedicato a Buddy Holly, tra i più grandi pionieri del rock’n’roll.
The day the music died
La necessità di far cassa, un tour pianificato da un manager sadico, un freddo cane, un aereo preso per necessità e un pilota suo fan ma totalmente inesperto. Si può essere più sfigati di Buddy Holly e dei suoi amici?
Di Renzo Stefanel
Chicago, Illinois, venerdì 23 gennaio 1959: 2 gradi sottozero, il sole freddo, l’aria che brulica di neve, il vento che spira cupo a 24 km all’ora. Un gruppo di ragazzi, puntini neri nei loro paltò, sale a bordo di un bus, tra risa, scherzi, boutades: via, verso il Grande Nord! Sono 12 rocker: il road manager Rod Lucier, l’emergente Frankie Sardo, gli appena emersi Dion and the Belmonts (tre Top 40 nel 1958), Big Bopper (una Top Ten il precedente agosto), Ritchie Valens (due Top Ten) e la star Buddy Holly, con i suoi nuovi Crickets, ovvero Waylon Jennings al basso, Tommy Allsup alla chitarra e Carl Bunch alla batteria. Sono loro il Winter Dance Party della General Artist Management, meglio nota come GAC.
(…) Mentre i 13000 spettatori entrano nella Surf Ballroom, accompagnati da 125 occhiuti genitori, Holly chiama il Dwyer’s Flying Service, all’aeroporto della vicina Mason City: sipuò arrivare a Fargo, North Dakota, a due passi da Moorhead? Certo che si può, sono 108 dollari per un aereo a quattro posti, compreso il pilota. Peccato manchi proprio quello. Può il signor Holly aspettare un quarto d’ora? Si trova, il pilota si trova: è Roger Peterson, 27 anni e 17 ore di servizio sulle spalle solo quel giorno. Così, a mezzanotte e cinque, Holly, Bopper, Valens, promoter e moglie partono per l’aeroporto, seguiti da alcuni fan. Si parla dello show, molto divertente.
Si parte. Peterson rassicura Dwyer, il principale: una volta decollato, comunicherà il piano di volo. All’alba, sicuro del peggio, Dwyer esce in volo, a perlustrare i dintorni. Niente, niente, bianco ovunque. Finché ecco qualcosa, una macchia gialla nella neve: è la giacca di Buddy Holly. Dwyer lancia l’allarme. In un lampo arrivano stampa e polizia.
Povero Buddy: ha il cranio aperto in due sul davanti, il cervello sparso a terra, la faccia sfigurata da profondi squarci e le costole letteralmente polverizzate, tanto che, a toccarlo, il torace è molle. Intorno la sua pistola, i suoi occhiali da vista e l’orologio Omega tempestato di diamanti. La macchina dei media si mette in moto. Radio e tv sparano la notizia. Maria Elena, a New York, vede il tg, si sente male, perde il bambino. I giornali sono più lenti: la mattina dopo, a New Rochelle, uno strillone 14enne scarta il suo pacco di quotidiani e legge la notizia. Rimane di sasso: Holly è il suo idolo. Per lui la musica muore quel giorno. Poi con gli amici, anch’essi fan di Holly, e l’aiuto di una bottiglia di whisky, canta una canzone di Buddy: “Il giorno in cui mi dirai addio sarà il giorno in cui morirò”. Il ragazzo si chiama Don McLean e nel 1972 ricorderà quel giorno con “American Pie”.
L’articolo integrale su Classic Rock 76 che si può acquistare qui.
https://www.youtube.com/watch?v=IN2Fkf5aItA