Sfatiamo un mito: nell’atroce saga di Charles Manson non c’era nulla di demoniaco.
Piuttosto, frustrazioni musicali e artistiche. Che esplosero nello stesso mese del festival di Woodstock, a segnare tragicamente l’inizio della fine di un sogno, e le contraddizioni della scena rock e controculturale di cinquant’anni fa.
Un breve estratto del saggio di Stefano Pogelli che uscirà sul numero 77 di Classic Rock.
Di Stefano Pogelli
Il 9 agosto di quest’anno saranno trascorsi cinquant’anni dalla strage di Bel Air, Los Angeles, nella quale furono massacrati Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, e tre suoi amici. Nel frattempo il responsabile del delitto, Charles Manson, è morto in carcere all’età di ottantatré anni. L’anniversario sarà di nuovo l’occasione per sociologi, esperti da salotti televisivi ed esorcisti della domenica per parlare di riti satanici e dei messaggi subliminali nascosti nei solchi dei dischi dei Beatles? La realtà è molto più banale di quanto possa sembrare a prima vista, anche se indubbiamente in rapporto conla scena musicale dell’epoca.
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