Di Giovanni Davoli
“Grazie di essere venuti cosi in tanti. Ci aspettavamo al massimo una cinquantina di persone…”. Non si sa se sia Roma ad avere una brutta fama, o se siano loro che si sottovalutano. Fatto sta che Mariusz Duda ripete il concetto più volte. E alla fine promette di tornare “più presto che tardi”. Roma ha trattato bene i polacchi Riverside nella loro prima visita, riempiendo Largo Venue di fan entusiasti e familiari con il repertorio, ricambiati con un paio di ore di musica appassionata: “potete chiamarci Prog se volete, ma noi preferiamo dire che facciamo canzoni e le preferiamo di 3 minuti piuttosto che di 27”. Diciamo che le loro sono decisamente canzoni prog, anche se di 3 minuti se ne vedono poche. Molte di 5-6 in compenso.
Come spesso accade, dal vivo la band si svela. Mariusz Duda è il leader ed il frontman chiaramente. Ma ogni elemento è essenziale per il loro sound. Non sono dei virtuosi alla Yes; ricordano piu’ i Pink Floyd: per l’attenzione alla forma canzone, certo, ma anche perché ogni tassello è essenziale ed insostituibile: le atmosfere disegnate dalle tastiere di Michal Lapaj (alla Rick Wright), cosi come il drumming compatto di Piotr Kozierazcki (che ricorda giusto Nick Mason). Non è un caso che, scomparso il chitarrista Piotr Grudzinski nel 2016, abbiano deciso di non sostituirlo ed assumere, per i live, qualcuno che ne rifaccia le parti a memoria. “Ieri era il suo compleanno” – ricorda Duda – “e questa canzone non poteva essere più appropriata”, dice prima di attaccare l’ultimo bis: “River Down Below”, una ballata funebre che impreziosisce l’ultimo album Wasteland (giunto al numero 1 nelle charts polacche).
Ma malgrado le tematiche apocalittiche di “Wasteland”, sul palco i Riverside appaiono gioiosi e spontanei nel fare musica. Lo dimostrano i grandi sorrisi di Lapaj al pubblico e l’umiltà artistica delle parole di Duda. Manca la pretenziosita’ dei Pink Floyd, sarà che quelli riempivano gli stadi e questi devono accontentarsi di molto meno. Ma quello che va in scena è un Prog contemporaneo ed originale, a tinte metal talora (Porcupine Tree), o folk (Gentle Giant) in altri momenti. È musica dura e pura che i fan romani apprezzano, finendo per lanciarsi in cori da stadio: “Riverside, Riverside,….”
Da menzionare anche la band di supporto, gli olandesi Lesoir, che hanno stupito il pubblico con un Prog meno innovativo forse, ma ispirato e apprezzato dai presenti.
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