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Live Review: John Mayall a Roma

La recensione del concerto di John Mayall del 26 marzo, Auditorium Parco della Musica di Roma

Per la rubrica “Live Review” il nostro lettore Giovanni Davoli ci manda la sua recensione.

John Mayall è un professionista del blues. Lo è sempre stato, già dai tempi dei Bluesbreakers, come racconta Eric Clapton nella sua autobiografia. Ma a 85 anni, suscita grande ammirazione la tranquillità con cui calca il palco ancora con tour regolari, come sempre da ormai una sessantina di anni.
Nei 90 minuti di una scaletta che – stando a setlist.fmda una sera all’altra muta almeno del 90%, l’unica concessione alla sua età che notiamo è una chitarra elettrica a corpo ridotto. Presumibilmente per non gravare sulla schiena. Ma la suona come sempre, al pari dell’armonica, del Roland e dell’Hammond.
Ma è solo lui, nella band, che si concede il lusso di cambiare strumento. Carolyn Wonderland rimane con la stessa Les Paul rossa in spalla, collegata ad un ampli Fender, e produce un suono che non può non compararsi a quello del mitico disco con Slowhand (sempre Les Paul rossa anche se lì era collegata ad un Marshall, come sanno bene gli storici). Carolyn è puro finger picking (o meglio “nail picking”): una delizia i suoi assoli, per suono, armonia e ritmo. Ma anche alla voce impressiona, ad esempio nel classico di Blind Willie Johnson “Nobody’s Fault but Mine”: non a caso Wikipedia riporta due premi per “Best Female Vocalist” nella sua carriera.
Ma a tutti i membri della band, completata dagli storici compagni di avventure Greg Rzab al basso e Jay Davenport alla batteria, viene concesso almeno un momento per impressionare. Senza giochi di luce, senza effetti speciali, senza fronzoli: solo con un po’ di vecchio blues, tanta maestria e voglia nel suonarlo ancora.

Il blues può essere una passione genuina e una professione seria

John Mayall, con la sua band, ci ha  emozionato: ha dimostrato che il blues può essere una passione genuina e una professione seria, fino all’ultimo. Fino a che gli sarà fisicamente consentito lui continuerà a suonare “quei vecchi blues” e anche quelli nuovi, che non smette di mettere insieme, come ha dimostrato la sua ultima validissima uscita discografica: “Nobody Told me”.

Rimane solo il rimpianto di non avere l’età per averlo visto in un fumoso club londinese (cui la sua musica ancora appartiene, più che a un impeccabile Auditorium), “ai tempi” quando “nessuno sapeva che il blues di Londra era nato”, come ci ha cantato questa sera nella sua “Blues for the Lost Days”. Con la stessa voce di allora, solo un po’ più profonda, oggi più simile agli eroi di tutta la sua vita. Adesso che anche lui è un eroe del blues.


 

giovanni davoli

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giovanni davoli

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