Dewa Budjana: l’Indonesia non è così lontana

Alla scoperta di un artista di culto della scena indonesiana, con il "vizietto" di farsi accompagnare da grandi musicisti...

Un breve estratto dell’intervista di Luca Benporath comparsa su Prog 23, in edicola. 

Rock, fusion e jazz in Indonesia? Certo che sì! La scena musicale del lontano Paese asiatico è piuttosto attiva, ha anche un nutrito gruppo di band che hanno animato il sottobosco progressivo: Abbhama, Guruh, Badai, God Bless e Harry Roesli.

Il chitarrista Dewa Budjana ne è una delle figure di spicco da oltre 30 anni, riuscendo – con la sua band, Gigi, e da solista – a ritagliarsi un posto a livello internazionale, grazie al quale può oggi vantare collaborazioni con il “gotha” del rock e della fusion internazionale.  Ha pubblicato 11 album, alcuni davvero notevoli come ZENTUARY (2016) e HASTA KARMA (2015).

E un sopraffino musicista, capace di rielaborare in chiave originale e con grande stile l’eredità jazz- rock dei 70.  MAHANDINI è uscito qualche mese fa per la Moonjune Records, fondata da Leonardo Pavkovic nel 2001, e prosegue nell’azzeccato filone delle collaborazioni illustri: Marco Minnemann, Jordan Rudess, Mohini Dey, Mike Stern e John Frusciante, assente dalle scene musicali da qualche anno e che fa capolino in due brani.

Come hai iniziato a suonare la chitarra?
Ho iniziato a 11 anni quando vivevo nella mia città natale (Klungkung, nell’isola di Bali). Ho poi proseguito quando mi sono trasferito a Surabaja, nell’isola di Java, la seconda città indonesiana dove ho frequentato dapprima il liceo, durante il quale mi sono avvicinato alla musica prendendo lezioni di chitarra classica e apprendendo i primi rudimenti di lettura della musica.

A Surabaya ho suonato per la prima volta con un gruppo, quello della scuola, e per la prima volta ho suonato una chitarra elettrica. Più tardi mi sono spostato a Jacarta, la capitale, dove ho suonato con la mia prima band – Squirrel – che è stato anche l’inizio della mia carriera da professionista.

La band eseguiva materiale proprio e anche delle cover, un misto di jazz, fusion e rock. Le mie primissime influenze sono state Ritchie Blackmore e John Denver a livello compositivo. Più tardi mi sono affacciato ad altri stili che sono poi diventati fondamentali come John McLaughlin della Mahavishu Orchestra, Yes, Gentle Giant, ELP e più avanti Keith Jarrett, Jan Garbarek, Chick Corea, Allan Holdsworth, Bill Frisell, Jeff Beck, Pat Metheny, Ralph Towner e i Weather Report.

Cosa ti ha spinto a dedicarti a una carriera solista?
Prima di suonare con i Gigi sono stato con diversi gruppi di rock e pop fino al 1994, quando ho fondato Gigi insieme a degli amici. Eravamo tutti dei session men che desideravano comporre ed eseguire materiale proprio. In realtà la band è ancora attiva, non ha mai cessato di esistere.

Abbiamo suonato migliaia di concerti in Indonesia e all’estero (USA, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Malesia, Hong Kong, Olanda...), abbiamo registrato oltre 25 album e quest’anno celebreremo il nostro 25° anniversario. La differenza con la mia carriera solista è che con Gigi compongo assieme agli altri dei pezzi di pop e rock, mentre quando sono da solo compongo riflettendo la mia unica personalità e privilegiando la musica strumentale.

Come definiresti la scena musicale in Indonesia oggi?
La scena musicale indonesiana è molto attiva. Lo è stata dai tempi della mia giovinezza e persino prima, negli anni Settanta. Non sono sicuro se il mio Paese possa essere comparato ad altri Paesi ma da noi c’è così tanta musica, tantissimi musicisti e moltissimo lavoro per tutti.

Non conosco musicisti che siano disoccupati! Siamo un Paese con parecchia cultura musicale, con gioia e felicità e questo si riflette nel modo di vivere e fare musica degli indonesiani. Siamo un popolo dalle diverse culture, diverse lingue con migliaia di etnie diverse. La scena musicale è molto attiva dalla parte ovest di Sumatra fino alla provincia di Papua ad est. Musica folkloristica, pop, rock, di tutto. Ma anche jazz e fusion sono molto popolari da diversi decenni qui.

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Luca Benporath

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