Live Review: Alessandro Quarta all’Auditorium Parco della Musica di Roma

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Alessandro Quarta Plays Astor Piazzolla

Per la rubrica “Live Review” la nostra lettrice Maria Ludovica De Dominicis ci ha inviato la sua recensione del concerto di Alessandro Quarta

Non solo con il poderoso vigore espressivo della sua interpretazione e con la perfezione del suono, ma anche con una sapiente narrazione, Alessandro Quarta ha sedotto ed ipnotizzato il pubblico dell’Auditorium parco della musica di Roma, dinanzi al quale ha presentato il suo Alessandro Quarta Plays Astor Piazzolla, già candidato ai Grammy e primo album al mondo con sonorità jazz registrato in 3 D.

Racconta, Quarta, delle origini del tango ed evoca oscuri sobborghi di Buenos Aires odorosi di salsedine ed alcol, e di milonghe dolcissime ballate in lontane balere; narra di tanghi danzati nei bordelli vicino al porto e di una fisarmonica -il bandoneon – creata per suonare in Chiesa a lode di Dio, ma destinata ad accompagnare “prostitute bellissime e sporche” in danze intrise d’erotismo e di fierezza; racconta, infine, d’un Piazzolla che stravolge il tango e fugge a Parigi, inseguito da cento pugnali.

“Ed ora, se ci sono bambini in sala, tappate loro le orecchie, perché questo è sesso” avvisa il maestro, e la sua musica sprigiona una potenza erotica e creatrice, sembra portare sul palco la furia degli elementi, ma è una furia che esplode tra la perfezione  degli arrangiamenti, nel rigore ritmico, nella perfezione dei virsuosimi. Ed è qui che nasce la bellezza, dal connubio d’irruenza e di temperanza tra cui si snodano, una dopo l’altra, la “Habanera”di Bizet e “Por una cabeza” di Gardel seguite da un ineguagliabile Fracanapa: il nuevo tango di Piazzolla. I brani sono  magistralmente eseguiti anche grazie alla sintonia con l’ensemble composto dai talentuosi Giuseppe Magagnino (piano), Michele Coaci (contrabbasso), Franco Chirivì (chitarra) e Cristian  Martina (batteria). 

Parigi sembra emergere e prendere forma

Fugge, dunque, Piazzolla, a Parigi, ed ecco comparire una musica lieve, “Chau Parìs”, poi la grazia di “Rio Sena”, e….” Parigi…”- sussurra Quarta indicando con un cenno del volto il suo violino,  dal quale davvero Parigi sembra emergere e prendere forma dinanzi agli occhi incantati degli spettatori –  e pare al  pubblico di vedere l’eleganza spensierata del liberty, donne esili dagli ombrellini in pizzo e baluginii di luce sul lungosenna. Riprende la narrazione,  Quarta, e racconta di pittori che escono dalle accademie, di musicisti cacciati dai conservatori, di come tutto ciò che oggi diciamo “classico” sia stato in origine rottura, tradimento, innovazione, dissacrazione.

Con la parola e con l’archetto Quarta squarcia come inutili “vesti senza significato” archetipi e vecchi schemi,  per giungere al cuore vero delle cose: “non esiste musica classica e musica leggera – spiega il Maestro citando Bernstein – : esiste solo musica bella e musica brutta” . E la musica bella può avere origine ovunque, persino là dove abbiamo dimenticato che sia nata: Quarta racconta con sincera partecipazione delle lettere in cui Mozart confidava al padre la sua malinconia: “sono stanco di suonare per gente che non mi ascolta”, cioè in feste in cui la sua musica – tra le più grandi, le più sublimi di tutti i tempi – era sommersa da risate e chiacchiericci, “perché Mozart faceva in realtà quello che noi oggi chiamiamo piano bar”.

La bella musica ed il bel canto possono dunque nascere ovunque e Quarta le cerca nelle balere oscure e malfamate di Buoenos Aires, nelle sfide danzate tra uomini per la conquista della la più bella tra le prostitute in attesa, e la sua musica è cuore di un umanesimo disarmante, che prima trascina il pubblico in un tango che “è sesso, è attrazione fisica, è sudore” , e  poi, dopo averlo fatto così piacevolmente peccare, lo assolve, con la dolcezza di “Years of Solitude”, in un’esecuzione indimenticabile non solo per  l’intensità espressiva, la dolcezza,  e l’empatia profonda per un Piazzolla intriso di nostalgia per la sua terra, ma anche per la perfezione di alcune singole note, quelle finali, in particolare, che da sole sono avventure compiute, nel loro lungo vibrare come stelle tremule, assottigliarsi così tanto da temere che si spezzino, così tanto che si vorrebbe correre in loro soccorso e quasi proteggerle, per poi sopirsi in un corale sospiro del pubblico, che si lascia andare sugli schienali, stremato.

Un eclettismo che seduce gli spettatori

Musicista di formazione classica, Quarta vanta un curriculum prestigioso: cresciuto con i più grandi direttori al mondo,ha suonato con musicisti del calibro di L. Maazel, E. Inbal, C. Dutoit, M. Rostropovich, M.W. Chung, G. Pretre, Z. Metha. È stato arrangiatore e solista con i Solisti dei Berliner Philharmoniker e di recente autore del brano Dorian Gray per Roberto Bolle. Il concerto tuttavia svela un talento  eclettico, affinato anche grazie alle incursioni del Maestro Quarta nel blues, nel pop e nel rock: nella sua carriera, Quarta ha affiancato musicisti come Ray Charles, Dee Dee Bridgewater, Mike Stern, Joe Cocker, Mark Knoplfer.

È questo eclettismo che consente all’ormai celebre violinista di sedurre i frequentatori delle più esclusive sale da concerto come quelli delle grandi arene del rock; di suonare – come un grande musicista classico –   con una passione che non deraglia mai dai binari della temperanza e di una rara  padronanza tecnica ma anche, come una vera rock star, e di fare di se stesso e del suo pubblico la vera materia del suo suonare.

Ed è uno spettacolo osservarlo, Quarta, mentre suona con anima e corpo, trasformandosi lui stesso in musica – un sol, fa, sol e tutti i muscoli della fronte e delle sopracciglia si alzano, si abbassano, si alzano ancora- trasformando in musica un pubblico ormai in delirio, mentre lui, dopo averci ricordato che siamo nelle tranquillizzanti braccia di infallibili serie matematiche, fiammeggia, con  una travolgente esecuzione di  “Oblivon”, seguita da “Adios Nino“, “Jeanne Y Paul”, ed infine “Libertango”, nel gioioso possente miscuglio di stili e danze da cui ogni musica trae origine e canta, con Borges, gli antenati del suo sangue e dei suoi sogni.

 

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