Intervista ai Midnight Breakfast

Un gruppo che va oltre i confini (o limiti alle volte) del blues: Stefano Albertini dei Midnight Breakfast ci racconta BETWEEN, il loro ultimo album

Cosa rappresenta BETWEEN per la vostra carriera?

È la sintesi di un percorso durato tanti anni alla ricerca di un’identità all’interno del linguaggio del blues. Linguaggio ovviamente che non ci appartiene né per ragioni geografiche né per cultura ma che con onestà, rispetto e passione abbiamo cercato di fare nostro, secondo il nostro modo di vedere, da cittadini europei, da lombardi.

In cosa vi sentite cambiati rispetto a CLOSE TO THE WALL?

BETWEEN l’abbiamo asciugato ancora di più, l’abbiamo reso minimalista sia nei testi, in cui Marco (il cantante) si esprime per suoni e per timbro, sia dal punto di vista dell’arrangiamento del brano dove si cerca di sviluppare più il movimento verticale e non la sequenza degli accordi. Cerchiamo di lasciare all’ascoltatore libertà rispetto alla propria sensibilità, in base al proprio gusto, esperienza o cultura di viaggiare in una specie di trip gratuito senza effetti collaterali (ride) per cui uno può riconoscere il suo momento in quell’istante.

Come mai avete deciso di dare all’album il nome dell’ultima traccia inserita? C’è un motivo in particolare legato a questo pezzo?

È come se fosse la fine di un percorso, dopodiché lasciamo comunque una speranza. Poi “Between” significa tante cose, in lingua inglese e americana soprattutto, per noi è come se rappresentasse un crocicchio, ma non quello di Robert Johnson (ride), noi siamo arrivati a questo crocicchio dove bene o male si possono unire culture diverse, linguaggi diversi. Poi venendo dalla Lombardia, che è una regione che non ha una grande tradizione musicale, abbiamo fatto più fatica degli altri.

In cosa vi sentite fuori dagli schemi tradizionali del blues?

Tutti ci riconoscono questo, non è un discorso nazionale, ci siamo arrivati per un discorso d’istinto, di pancia, non è stato un lavoro a tavolino. Siamo voluti uscire dagli schemi classici, quegli schemi che sfociano in una ripetitività che poi stanca tutti alla fine. Sottolineo, noi non siamo né neri, né africani, né nel Mississipi, quindi è inutile scimmiottare qualcun altro. Purtroppo la scena italiana soffre tantissimo di mancanza di personalità e originalità: grandi musicisti, grandi chitarristi, ma di interpreti che hanno fatto loro questo linguaggio non ne vedo quasi nessuno in giro.

Quali sono i vostri prossimi obiettivi?

La possibilità di essere un pelo più visibili per aumentare la nostra visibilità. La credibilità l’abbiamo, ma purtroppo viviamo in un momento in cui la visibilità è tutto, quindi se non hai la possibilità di far vedere alla gente che esisti, puoi anche essere il miglior gruppo blues sulla faccia della terra, ma non gliene importa nulla.


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