Iggy Pop: INTERVISTA ESCLUSIVA

Iggy Pop
Courtesy of © Iggy Pop

La redazione di Classic Rock ha intervistato il padrino del punk, che parla del suo successo e dei progetti futuri, tra cui un’apparizione cinematografica.

Iggy Pop non è tipo da riposare sugli allori. Ancora in grandissima forma all’età di 72 anni, con una carriera discografica lunga oltre mezzo secolo, il pioniere proto-punk divenuto icona globale è sempre più che disposto a rimettersi in gioco. Dopo POST-POP DEPRESSION del 2016, acclamatissima collaborazione con Josh Homme, il recentissimo FREE presenta musicisti di eccezione come il produttore e trombettista jazz Leron Thomas e la chitarrista avant-garde Noveller (alias Sarah Lipstate), segnando un altro stimolante cambio di direzione. “E tutto quel che sentite su questi brani, tranne l’assolo di corno di Leron, è stato realizzato con una Stratocaster e un sacco di effetti”, puntualizza. “E lei [Noveller] è in grado di rifare tutto dal vivo con la sua chitarra. È geniale”.

FREE sorprenderà chiunque si aspettava da te un POST-POP DEPRESSION 2. Era questa l’idea?

Sì, precisamente. Non sono uno che pensa: “Voglio il successo!”. Ho i miei standard, e non m’interesso del resto. Ogni tanto devo darmi da fare, piazzare un colpo e togliermi i seccatori dalle palle, ma non è il mio modo di fare abituale, capisci?

Sei rimasto sorpreso dal successo di POST-POP DEPRESSION, che ti ha dato la posizione di classifica più alta di tutta la carriera?

No, assolutamente no, perché le persone con cui l’ho fatto erano competenti: Josh Homme, Dean Fertita e Matt Helders sono davvero pezzi da 90. All’inizio non sapevo che sarebbe andata così. Ho contattato Josh per fare un disco, e pensavo che avrebbe tirato fuori qualche riff blues, tipo Desert Sessions, e avrei passato un bel fine settimana e tutto lì. Ma la cosa lo ha preso. E così quando l’ho capito ho pensato: “Ok, scateniamoci”. Ed è stato bellissimo. Ma sarei un fesso se provassi a rifarlo.

Significa che hai chiuso con il rock?

No.

Ma jazz e avant-garde sono stili con cui hai già flirtato. Per cui, non è che per te siano cose totalmente nuove.

Sì, sì lo so… volevo fare qualcosa al di fuori del canonico formato rock. E in un certo senso con POST-POP DEPRESSION l’ho fatto, perché non è davvero un disco rock, ma l’ho realizzato con persone che sono in cosiddetti gruppi rock, e c’è un beat rock e una batteria e schitarrate. E per me è stato importante. È stato durante il periodo in cui abbiamo registrato, pubblicato e poi siamo andati in tour con Josh Homme, che mi sono sentito davvero bene. Stavo bene anche prima di lavorare con lui, ma questi due anni mi hanno dato una carica incredibile.

Cosa vuoi dire?

Dico che ho avuto un successo favoloso e ora posso fare tutto quello che voglio (ride). Per cui, se ne possono andare tutti affanculo. Io sono così. Se non ti va… la porta è quella. Ma sono davvero orgoglioso della musica che abbiamo realizzato stavolta, e sono sicuro che toccherà il cuore di molti. Ed è questo che cerco sempre di fare, non so se mi spiego.

Ti piace sempre stare sul palco?

Sì. Lo adoro. Mi piace moltissimo.

Hai più di 70 anni: come fai a tenere concerti, ad andare in tour?

Be’, non esagero. Cerco di stare nei limiti. Non faccio più 40 serate di seguito… Oddio, tranne quell’anno con Josh. Prima sono andato in tour con Josh, e poi col mio gruppo. Per cui, quell’anno ho fatto 52 concerti. Ma di solito ne faccio… quest’anno ne faccio 13. E ho ristretto molto. L’anno scorso appena 6. Però a Montreux sono caduto dal palco e sono dovuto andare da un dentista svizzero molto gentile per sistemarmi. Quindi, sembra che i guai mi trovino anche se cerco di evitarli…

C’è la possibilità che eseguirai tutto FREE dal vivo, anche solo una volta?

Assolutamente sì. Abbiamo intenzione di fare tutta questa robaccia. Probabilmente però non in un concerto pubblico. Stiamo progettando di eseguirlo privatamente almeno una volta in Europa e una negli USA. E poi chissà… Poi ho messo insieme un gruppo rock molto tosto, e una setlist davvero ok, fatta di brani che piacciono a me e che il pubblico ama. E poi ho anche un sacco d’inviti, da festival sia jazz che classici. Davvero tanti. E m’interessano. Per cui, vedremo che succede. Potrei anche eseguire brani del disco, perché no.

Non ho ancora visto il nuovo film di Jim Jarmusch, The Dead Don’t Die, in cui reciti. Com’è stato interpretare uno zombie?

Molto dura. Tonnellate di trucco, persone che mi spruzzavano sangue in bocca tra una scena e l’altra, e poi dovevo chinarmi e mangiare le viscere di qualcuno. La prima volta che l’ho fatto, hanno detto: “Ok, hai due opzioni: o mastichi vere salsicce crude di maiale, o queste salsicce finte riempite di sostanze schifose”. Tipo involtini vegani. Ho scelto il vegano, e la prima volta per poco non vomitavo. Davvero disgustoso. Ma dovevo farlo. Jim aveva realizzato quel bellissimo film sul mio gruppo [Gimme Danger, documentario del 2016] e mi aveva fatto recitare in altri film, per cui è il mio guru (ride): dovevo fare tutto quel che mi chiedeva. Voleva che facessi lo zombie? Sarei stato uno zombie, chiaro no?

E ti hanno tagliato la testa?

No, Sara [Driver] e io siamo i due zombie che la sfangano… non mi vedrai ammazzato! Non ho perso la testa. Jim mi ha detto: “Non possiamo ucciderti” (ride). E la cosa mi ha fatto piacere.

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