INTERVISTA. Piero Pelù ci dice tutto sul suo nuovo disco PUGILI FRAGILI

Abbiamo intervistato Piero Pelù, che ci ha raccontato tutto su PUGILI FRAGILI (Sony Legacy) e i suoi primi 40 anni di carriera. Ecco le sue parole.

In cosa è cambiato il Piero Pelù di FENOMENI (ultimo progetto solista uscito ormai 12 anni fa) rispetto a PUGILI FRAGILI?

PUGILI FRAGILI è un album che somma tutti gli stili che ho usato in questo periodo: c’è dentro della new-wave, del punk, del metal, del blues, la ballad e per finire l’elettronica, ovvero la mia nuova scommessa. Insomma, già ascoltando Picnic all’inferno e Gigante avrete capito in che direzione stava andando l’album.

Dopo 40 anni di carriera, hai ancora una voglia di spaccare il mondo, cosa rara per un artista che ha pubblicato venti dischi. Qual è il tuo segreto?

Il segreto in realtà non c’è; è più una questione di rimanere sintonizzati con il mondo. Il rock, come il blues e il rap, è una musica che nasce dalla strada e deve rimanere tale nonostante cambi il contesto in cui si vuole presentare il contenuto. Per questo motivo cerco di vivere il più possibile ciò che mi sta attorno: oltre che essere un nomade per definizione, mi piace anche conoscere le strade e ciò che succede all’interno di questi contesti. A questo proposito, il progetto nato con i ragazzi del carcere di Nisida per il brano Gigante è indicativo.

Parliamo di un brano contenuto nell’album: Ferro caldo. Un ritorno alle origini sia nella composizione del testo che nella sonorità: è la chiusura di un cerchio?

…O l’apertura di un altro! Nella mia scrittura cerco di usare anelli aperti. In quest’album sono comprese delle canzoni che si possono riagganciare a tutto il mio passato, sia quello da solista che quello con i Litfiba: la reunion, gli anni Novanta, gli anni Ottanta e così via… Insomma, sono felice di avere sempre un filo di congiunzione che segue tutta la mia produzione discografica, sia in gruppo che da solo.

Come mai hai deciso di presentarti a Sanremo proprio con il brano Gigante? Pensi sia un pezzo di più facile comprensione per un pubblico di massa?

Effettivamente con Chiaravalli, il produttore col quale ho prodotto il disco, volevamo trovare un medio tempo che fosse contemporaneamente anche una bella cavalcata rock a 120 bpm. C’è da dire che Gigante è un brano in cui si toccano argomenti anche molto scabrosi e pesanti come quello dell’infanzia negata. E per infanzia negata intendo i ragazzi figli dei mafiosi, ma anche il milione di bambini ebrei uccisi nei campi di concentramento. Quello che provo a fare consiste nel raccontare questa condizione in una chiave non necessariamente di autocommiserazione, bensì positiva, di riscatto.

Nell’era della “musica fluida” tutti pensano che per un giovane sia molto più semplice farsi strada nel mondo della musica grazie al web. Pensi sia veramente così?

Per chi è emergente, ci sono sempre state grosse difficoltà. Mi ricordo che molti anni fa, quando il web non c’era ancora, l’unico modo che avevamo di farci conoscere era registrare in maniera decente qualche provino in studi che erano pessimi, con attrezzature altrettanto pessime, ma con prezzi esorbitanti (così facemmo il nostro primo Ep con i Litfiba, che poi è rimasto mitico: GUERRA). Oggi la tecnologia aiuta ad avere delle buone qualità sonore con budget molto ridotti, e la diffusione attraverso il web è praticamente automatica, per cui l’unica cosa che ti può fare emergere è la personalità, ciò che si dice e come lo si dice. Con i Litfiba vincemmo il primo Festival Rock italiano nel 1982, a Bologna, e in gara con noi c’erano decine di band importantissime, ma noi lo vincemmo per-ché probabilmente avevamo qualche cosa in più: la performance sul palco, gli argomenti e come venivano esposti. Quindi la vera sfida oggi è essere il più originali possibile.

L’intervista completa a Piero Pelù la trovi su Classic Rock 88, in edicola dal 27 febbraio e in digitale.

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