Peter Baumann: “Ecco come i Tangerine Dream mi hanno tenuto fuori dai guai”

Meglio conosciuto come uno dei tre componenti fondamentali dei Tangerine Dream, lo straordinario tastierista tedesco Peter Baumann è stato anche un impresario discografico di successo e un artista solista.

Dall’infanzia a Berlino durante le fasi critiche della Guerra Fredda, all’inaspettato successo con gli innovatori Tangerine Dream ottenuto semplicemente “spegnendo tutte le luci e facendo rumore”, Baumann ci apre le porte del suo mondo.

Baumann partecipò alle registrazioni del cupo doppio album ZEIT nel 1972 e di ATEM l’anno successivo. È forse inevitabile che, durante la nostra chiacchierata, i discorsi intorno alla sua militanza nei Tangerine Dream monopolizzino la conversazione. Non che per lui sia un problema. Da come ne parla, è chiaro che ci sia un misto di orgoglio e di piacere nel ricordare i successi durante quello che oggi viene tradizionalmente considerato il loro periodo “classico”.  

I Tangerine Dream sono stati un gruppo che ha oltrepassato le frontiere...

Non abbiamo mai avuto confini né restrizioni. Eravamo totalmente liberi.

Guardando le cose da una prospettiva globale, i Tangerine Dream sono stati solo una piccola parte della tua vita e della tua carriera. Oggi cosa ne pensi di quel periodo?

È stato di certo un periodo di crescita personale. Sono entrato nel gruppo quando avevo 18 anni e per circa sette anni e mezzo abbiamo lavorato insieme. Suonare con un gruppo è un’esperienza unica. Mi ha tenuto alla larga dai problemi – non sono dovuto andare a studiare all’università, che è stato un grande privilegio. Non ne faccio una questione di orgoglio ma ne conservo uno splendido ricordo. 

Cosa ricordi di ZEIT, il tuo primo album con loro?

È un disco insolito. Lo registrammo vicino Colonia, al buio e dopo aver fumato un po’ di hashish. La cosa più bella di quei tempi è che non tentavamo mai di fare qualcosa per diventare popolari – suonavamo per divertirci, producevamo rumori e sperimentavamo come incastrarli tra loro e vedere che atmosfera creavano insieme. In un certo senso eravamo estremamente ingenui, non seguivamo alcuna strategia nel creare musica. Spegnevamo le luci e iniziavamo a produrre rumore.

Come descriveresti il tuo ruolo nel gruppo?

Mi occupavo del missaggio dei dischi, dato che ho sempre avuto orecchio per la spazialità del suono. Usavo tantissimo i riverberi, i delay a nastro, sperimentavo parecchio con la musica in movimento. Ho sempre immaginato uno spazio infinito in cui si stagliavano queste sculture sonore. Più di tutto, il mio maggior contributo penso fosse questo modo di intendere il suono.

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