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Un viaggio nel tempo: tra mangianastri e audiocassette

Per molti anni il mangianastri è stato sinonimo di innovazione. Ma quali sono stati i suoi aspetti rivoluzionari?

La combo matita + audiocassetta vi dice qualcosa? Sì? Allora sicuramente durante la vostra gioventù avrete avuto un mangianastri come migliore amico.

Partiamo dall'inizio: sia il mangianastri che la sua fidata compagna audiocassetta vennero presentati per la prima volta nel 1963 alla mostra della radio di Berlino dalla Philips, la famosa azienda olandese di elettronica.

I primi prototipi di mangiadischi erano pensati principalmente per essere utilizzati come registratori vocali, per esempio per non perdersi nemmeno una parola del discorso del professore durante un lezione universitaria pur continuando a schiacciare un sonnellino sul banco. 

La svolta commerciale si ebbe solo qualche anno dopo, nel 1965, quando il mangianastri venne lanciato sul mercato sì come un registratore ma anche come un dispositivo in grado di "leggere" il nastro magnetico delle audiocassette. A proposito, si parlava di un utilizzo combinato di matita (o penna) e musicassetta: questo perché il cuore dell'audiocassetta era composto da un nastro magnetico arrotolato su due bobine riavvolgibili grazie all'aiuto di una semplice matita. Inoltre, proprio come il suo poco più attempato concorrente – il vinile – anche l'audiocassetta aveva un lato A e un lato B.

Parliamo dell'audiocasseta come una "concorrente" del vinile perché, in effetti, i due dispositivi coesistettero per molto tempo e, nonostante le paure iniziali dei produttori di vinili, le audiocassette non soppiantarono mai del tutto il caro vecchio 33 giri.

Nonostante ciò, le audiocassette avevano diversi vantaggi: per esempio, i dischi erano spesso troppo delicati e si rischiava di graffiarli o addirittura romperli se maneggiati con poca cura, mentre il nastro delle cassette, supporto sul quale era "impressa" la traccia sonora, era protetto da una sorta di guscio in plastica che formava il corpo della musicassetta stessa. In più, il tempo di ascolto si allungava grazie alle musicassette che potevano contenere fino a 1 ora / 1 ora e mezza di tracce.

La prima volta che questo nuovo marchingegno venne menzionato dalla stampa italiana fu in un articolo del 1967 del quotidiano «La Stampa», nel quale veniva segnalato fra le novità tecnologiche esposte al Salone delle Arti Domestiche di Torino di quello stesso anno.

Solo un anno dopo, nel 1968, ci fu un boom di vendite del mangianastri che iniziò a spopolare in tutto il mondo, principalmente per via dei vantaggi sopracitati, che cambiavano profondamente il modo di ascoltare musica.

Ma c'è un altro vantaggio del quale non abbiamo parlato: la portabilità. Le musicassette erano molto più compatte di un vinile, erano trasportabili e potevano essere ascoltate anche in automobile, con l'aiuto dell'autoradio, oppure all'aperto, con i mangianastri portatili alimentati a batteria.

In più, con l'avvento delle musicassette vergini (cioè quei supporti vuoti e pronti per essere utilizzati per registrarci sopra qualcosa) si iniziarono a registrare programmi radiofonici, interviste, compilation o singoli brani. C'era sicuramente qualcosa di incredibilmente romantico e rétro nell'aspettare con pazienza che passasse in radio la propria canzone preferita per poterla registrare in maniera permanente su un nastro magnetico.

Dalla fine degli anni 70, poi, il mangianastri prese un'altra forma, diventando sempre più maneggevole o perfino tascabile e prendendo il nome di walkman (se siete dei nostalgici di quel periodo, ecco un articolo che fa al caso vostro).

Oggi, purtroppo, il mangianastri viene considerato un oggetto un po' obsoleto, per via dei passi da gigante che ha fatto la tecnologia nel nuovo millennio. Ma questo non significa che il mangianastri abbia perso la sua attrattiva, anzi: per molti rimarrà per sempre un pezzo della propria infanzia o giovinezza da custodire gelosamente.

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Alessia Marinoni

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