50 anni dopo la sua pubblicazione, la colonna sonora di Woodstock porta ancora con sé l'eco di uno dei festival più noti di sempre. Ma anche qualche leggenda metropolitana.
By the time we got to Woodstock
We were half a million strong
And everywhere there was song and celebration.
Il Festival di Woodstock, quei tre giorni di agosto del 1969, è stato molte cose. Un evento musicale senza precedenti, prima di tutto. Fu il palcoscenico delle stelle del folk, di Ritchie Havens, Joan Baez, al sesto mese di gravidanza. Fu la consacrazione del sangue latino di Carlos Santana con la sua band, degli Who con la loro grande opera rock: TOMMY.
Sul palco di Bethel cantarono Janis Joplin, Nash, Crosby, Stills e Neil Young. Ma, soprattutto, il giovanissimo Jimi Hendrix, giacca bianca, fascia rossa sul capo, che riuscì a trasformare la sua Fender Stratocaster in una mitragliatrice suonando l’inno nazionale americano, mentre forte si levava la protesta contro la guerra in Vietnam.
La musica fu la vera protagonista dell'evento, tanto è vero che quando, l'11 maggio 1970, venne pubblicato il triplo album WOODSTOCK: MUSIC FROM THE ORIGINAL SOUNDRACK AND MORE, molti poterono riassaporare la magia di quell'agosto.
Ma attenzione, non lasciamoci andare alla nostalgia, e alla tentazione di cancellare tutti i grandi disagi che derivarono da quello storico evento. Nel 1969, cinquecentomila persone occuparono un’area programmata per accoglierne non più di duecentomila. Dormirono in tenda, adattandosi a servizi igienici insufficienti (si stima che ci fosse un bagno ogni 800 persone e che le file per accedervi fossero lunghe chilometri).
Poi la droga: LSD, amfetamine. Si ha notizia di due morti, una causata probabilmente da una overdose di eroina, l'altra per via di un trattore, che investì il diciassettenne Raymond Mizsak mentre dormiva in un campo vicino, in un sacco a pelo. Le ambulanze, con tutta quella folla, non riuscivano a passare. Perciò, nessuno poté soccorrere quei 23 attacchi epilettici, 176 attacchi di asma, 57 colpi di calore e 938 ferite ai piedi.
Potete immaginare gli attacchi della stampa.
Neal Karlen, in occasione del venticinquesimo anniversario del festival, scrisse sul «New York Times» che Woodstock "non fu una rivoluzione, ma una strategia di marketing per questa nuova generazione giovane, in prevalenza bianca e precedentemente insondabile, con un mucchio di soldi a disposizione".
Forse non tutti conoscono la leggenda metropolitana che andò alimentandosi negli anni. Ricky Hopkins, scomparso nel ’94, sosteneva che Woodstock fosse stato un esperimento della CIA per liberarsi, in una volta sola, diffondendo droghe e trascurando la sicurezza e l'igiene, di tutta la popolazione hippie degli anni Sessanta. Lo storico revisionista Red Ronnie lo sostenne:
Un indizio a conferma di questa teoria mi venne da Joe Cocker, Santana e altre star di Woodstock: mi dissero tutti che non ricordavano nulla di quei giorni perché, appena arrivati, venne loro dato un acido con cui uscirono di testa.
I disagi che si vennero a creare lo conferebbero. Così scrisse infatti Donald Phau, uno dei numerosi giornalisti che appoggiarono la teoria:
A Woodstock si radunarono circa mezzo milione di giovani, che vennero drogati e sottoposti al lavaggio del cervello in una fattoria. Le vittime erano isolate, immerse nella sporcizia, piene di droghe psichedeliche, e furono tenute continuamente sveglie per tre giorni; il tutto, con la piena complicità di FBI e funzionari statali.
E per chi avrebbe voluto uscire, non c'era scampo. Pioggia torrenziali, traffico, ventiquattro ore di esibizione. Il tutto per tenere inchiodato il pubblico davanti al palco.
Che sia una leggenda più o meno fantasiosa, non lo sappiamo. Ma una cosa è certa: dopo quell'agosto, nulla sarebbe stato più come prima.