21 febbraio 2014. Tre anni senza Francesco Big Di Giacomo

Foto Raimondo Luciani

Sono tre anni che Francesco “Big” Di Giacomo ha abbandonato questo mondo, solo materialmente perché nei nostri cuori rimarrà per sempre. Per ricordarlo uso le parole che utilizzai il giorno della sua morte, quel maledettamente triste 21 febbraio 2014… lo so che ci vuole un po’ per leggerle… che sono tante parole da leggere su Facebook o sul web ma non si possono tagliare le emozioni più vere, come quelle suscitate da persone incredibili come Francesco… si quello del Banco del Mutuo Soccorso e di mille altre storie, specialmente di quelle che non sono state raccontate…  Guido Bellachioma

 “… e mi viene da pensare – a quante volte ho scritto canzoni, con la mano piena di rabbia e di convinzioni”

“E mi viene da pensare”, dall’album CANTO DI PRIMAVERA del Banco del Mutuo Soccorso- 1979

21 febbraio 2014: immensa tristezza, è morta una persona cara… È SCOMPARSA UNA PARTE DELLA MUSICA STESSA… di cui era voce, anima, operaio e sublime artista al tempo stesso, non solo nel cammino col Banco del Mutuo Soccorso. In questi giorni non ho voglia di parlare di musica, di elencare quanti dischi avesse inciso Francesco “Big” Di Giacomo, il più grande cantante nella storia del rock italiano, insieme a Demetrio Stratos degli Area, su Internet si trova di tutto e di più… in un altro momento mi piacerebbe farlo per i dischi che non ha pubblicato, vedi “CENERENTOLA, LA PARTE MANCANTE” con le musiche del romano Paolo Sentinelli… ora ho solo voglia di parlare di Francesco…

NONOSTANTE IL GIURAMENTO: Avevo giurato di non farlo. Non ce l’ho fatta a mantenere questa promessa, mentivo a me stesso sapendo di farlo… avevo perso in partenza. Mi sono armato di coraggio e sono andato a trovarlo, nonostante nella mia vita sia stato pochissime volte in quei… posti, di cui odio pronunciare persino il nome, che hanno uno strano odore. Più che di morte di malinconia, quasi il dolore stordisse i sensi, sorta d’indotta autodifesa, impossibilità di vivere tutto il dolore che precipita addosso in quei momenti… da soli pur in mezzo alla gente. Ci sono stato a forza per mia madre e mio padre, preferisco ricordare le persone con la linfa della vita che scorre. Non ho paura della morte, forse perché amo tanto la vita, come l’amava Francesco. Ho pensato a quel suo modo strascicato di apostrofarmi, un po’ prendendomi in giro: “A Bellachio’, che stai a fa? Sempre a traffica’ co’ ‘sto rock progressivo! Guarda che io so’ bravo a fare pure altre cose”

IL FADO, GLI ANIMALS, I BEATLES E LE SUE STORIE DI VITA: E bravo lo era sul serio. Mica solo a “giocare” con la musica prog insieme a suo “fratello” Vittorio Nocenzi e al resto della famiglia Banco del Mutuo Soccorso in qualsiasi periodo della loro lunga storia. Gli piaceva raccontare, rispetto al suo ingresso nel Banco, datato 1971, dopo il secondo festival Pop di Caracalla: “Vittorio Nocenzi cercava un cantante alto e biondo, arrivai io, che sono l’esatto contrario, ma non è andata male come avventura”. Amava il fado (prova ne è il CD “O FADO” con Eugenio Finardi e Marco Poeta), i Beatles, prima ancora Elvis Presley e gli Animals di Eric Burdon, di cui interpretava in modo magistrale la loro versione di “House of the Rising Sun”, brano folk suonato, tra gli altri, da Bob Dylan, Jimi Hendrix, Tracy Chapman e Muse. E poi, oltre al Banco, tanti dischi e “suonate” con Sam Moore (proprio quello dell’immortale “Soul Man”), Indaco, Kenze Neke, Edoardo De Angelis, Têtes de Bois, Periferia del Mondo, Tony Carnevale, Piotta. E poi, e poi… narrava storie di vita in modo insuperabile, facendoti ridere anche quando ne raccontava i dolori, non solo le gioie. Mi piaceva ascoltarlo, soprattutto quando non parlava di musica perché le sue parole avevano il ritmo delle emozioni sincere.

LA SUA SARDEGNA: Sardo per caso, altrimenti sarebbe nato a Roma, amava la Sardegna profondamente. Ci sorridevamo mentre ricordava i giorni trascorsi nell’isola, allora davvero selvaggia, dove nacque il 22 agosto 1947 a La Caletta, frazione di Siniscola (Nuoro), e rimase fino a 5 anni. Leone come me, più sornione di me, fiero e pigro al tempo stesso. Gli si accendevano gli occhi nel raccontarmi d’Eligio ed Elvezia, il padre abruzzese e la madre di famiglia romana dal 1400, partiti dalla Capitale per curare un latifondo dove avevano a disposizione una bella casetta. Eligio lo prendeva spesso in sella al proprio cavallo e… via al galoppo verso l’avventura, sospesa tra il mare e la montagna, tra le ginestre e la salsedine. Padre e figlio al ritorno erano affamati come lupi e trovavano un mare di leccornie ad attenderli. La madre era una cuoca sopraffina e Francesco ne godeva abbondantemente. Il mare intorno lo faceva assomigliare a quei pesciolini che catturava lungo la riva con l’amo e il filo, presi in prestito dai pescatori che gli volevano bene; li metteva amorevolmente in una vasca naturale, formata durante la bassa marea in mezzo alle rocce, dove rimaneva sempre l’acqua, li osservava per ore e poi, naturalmente, li liberava.  E mi raccontava anche che aveva una vera e propria guardia del corpo: un cagnone grande grande, almeno così sembrava a lui piccolino, dal nome bizzarro alquanto… “Giudicati”… insieme per ore e quando non camminavano rimanevano sdraiati semplicemente ad osservare il mare.

IL RITORNO A CASA: ROMA NEL CUORE: Quel suo essere profondamente romano nel dna, nel senso più nobile del termine, usciva sempre fuori… quando parlava seriamente, quando scherzava, quando guardava l’interlocutore con quel leggero sorriso agli angoli della bocca, quando suggeriva un ricordo sfizioso e inaspettato. Come quel giorno che mi zittì mentre gli chiedevo lumi sull’esperienza inglese con la Manticore di Keith Emerson, Greg Lake & Carl Palmer (mica tre qualsiasi, vere leggende della storia musicale internazionale): “Lo sai quando ho cantato veramente per la prima volta? – prosegue, senza aspettare la mia risposta, mentre io già mi scervellavo per capire a cosa si stesse riferendo – “alla scuola delle monache in cui andavo al Pigneto. Avevo una bella voce, forse la più bella della scuola, solo – ride profondamente – mi facevano cantare con le bambine. Ero l’unico maschietto in mezzo alle femminucce”. E alla mia faccia sorpresa si metteva a ridere in modo sommesso. Alle sue parole cercavo di rievocare la Roma che conoscevo solo attraverso fotografie sfuocate, patrimonio di famiglia o ritagliate dai vecchi giornali, ormai più in grigio che in bianco/nero. Chiudevo gli occhi e… magia… con la voce di Francesco nelle orecchie quel mondo lontano si animava; assaporavo i profumi che non avevo mai respirato perché non ero ancora nato, mi sembrava persino di scorgere mio padre o mio nonno che giocavano a carte con i suoi, magari in qualche cortile col bucato steso. La Roma di Francesco nel 1953 aveva mille colori e odori, che in parte ha perso; grazie alla sua straordinaria vivacità oratoria “vivevo” letteralmente le sfumature infinite di quella città multietnica, più ricca d’umanità dell’oggi, nonostante fosse appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale. Le tappe del suo ritorno a casa: prima qualche mese a Genazzano, poi Piazza dei Condottieri, tra un accampamento Rom e la Marranella, le bande di ragazzini che passano tutto il giorno per strada tra fortini costruiti in mezzo agli alberi e guerre improvvise con le mazzafionde come armi “letali”. A 13 anni la famiglia si trasferisce ai Palazzi Federici in viale XXI aprile (progettati dall’architetto Mario De Renzi, costruiti tra il 1931 e il 1937. Vi hanno girato due film: Una giornata particolare di Ettore Scola, 1977, e Romanzo di un giovane povero con Alberto Sordi). Frequenta la scuola media Giosuè Borsi a S.Lorenzo, fuori zona (allora le distanze erano davvero distanze, stiamo parlando del 1960) e questo non gli facilita l’inserimento sociale. Come se non bastasse contrae una grave malattia alle gambe che lo costringe a letto per un paio d’anni, poi la lenta riabilitazione. Quando si trova nuovamente in contatto con i ragazzi della sua età ha 16 anni. In quel periodo inizia la formazione della sua straordinaria sensibilità e cultura, dato che per superare quegli interminabili momenti legge in continuazione. Fortunatamente riesce ad uscirne fuori e da quel momento si apre davvero al mondo. Nonostante il fisico “monumentale” non ha problemi di rapporti, è simpatico, battuta pronta e canta già da “urlo”. Luoghi d’incontro in cui si comincia a parlare moltissimo di musica: gelateria Capolea di Piazza Gnoli (esiste ancora oggi), Bar Ferrara di via Lanciani, giardini di piazza Winkelmann. È con i brani di Presley, Animals, Kinks, Rolling Stones che Francesco inizia a diventare “Big”. Il suo primo concerto da “grande” è coi Nobili, nome scelto all’ultimo momento per la congrega di amici che lo supporta, nel teatro della Chiesa dei SS Martiri Canadesi dove Francesco straccia le “voci” dei due gruppi, rigorosamente romani, che completano la serata: Jewels e Toys. Da quel momento la musica entra prepotentemente nella sua vita. Il gruppo cambia nome in Dannati e nel 1967 in Le Esperienze, che nel 1968 sembra debbano incidere un 33 giri con l’etichetta romana per eccellenza, la RCA di via Tiburtina. Dopo un tour in Germania, alla fine del 1970 la band si scioglie, e avviene l’incontro fondamentale con Vittorio Nocenzi, il fratello che, essendo figlio unico, Francesco non ha mai avuto ma questa è un’altra storia… quella che lo vede attore sensibile di tutti i brani “vocali” del Banco del Mutuo Soccorso, persino di quelli dell’album strumentale “… DI TERRA” del 1978… dove i versi di una sua poesia si trasformano nei titoli delle sette composizioni orchestrali:

“Nel cielo e nelle altre cose mute – Terramadre – Non senza dolore –  Io vivo – Né più di un albero non meno di una stella – Nei suoni e nei silenzi – Di terra”

Dopo la galleria fotografica riprende il ricordo di Francesco…

ARRIVA UNA MATTINA CHE… La mattina del 22 febbraio, mentre guidavo verso l’Istituto di medicina legale a trovarlo, non pensavo al Banco del Mutuo Soccorso, alle splendide canzoni che ci ha donato con Vittorio, ai racconti sui festival pop di Caracalla o Villa Pamphili, ai “leggendari” anni ’70… non avevo la testa al Francesco artista, bensì al Big uomo, rimasto un po’ bambino nel suo eterno rincorrere le emozioni, e a quel punto mi è spuntato un breve sorriso. D’altronde me ne faceva fare di sorrisi e risate quando “partiva” per qualche barzelletta. All’arrivo ho trovato amici e persone semplici con la stessa mia incredulità negli occhi e la segreta speranza che si alzasse da un momento all’altro e dicesse: “Ho scherzato”. Sono rimasto da solo con lui per qualche minuto a pensare, senza forze, senza aver quasi coraggio di guardarlo, le mie lacrime, sono sicuro, erano anche le vostre… ero convinto di non averne più.

IL TRIBUTO DEI SOCIAL E NON SOLO: Il popolo di Facebook e d’Internet, che a volte ha un grande cuore, gli ha tributato commossi e sentiti omaggi in questi giorni. Tra poco gli si stringerà intorno per l’ultimo abbraccio a Zagarolo, il paese in provincia di Roma dove abitava da molti anni. Non ci sarà funzione religiosa, d’altronde l’ultimo verso da lui scritto per la commovente “Canto nomade per un prigioniero politico” così recita:

“Non sprecate per me una messa da requiem, io sono nato libero”.

Questo è l’sms che mi ha inviato Vittorio Nocenzi per dare la notizia, lo trovo meravigliosamente in linea con loro due: “Francesco ti aspetta per un brindisi giovedì 27 febbraio dalle 15 alle 19 nel Salone delle Bandiere di Palazzo Rospigliosi a Zagarolo. VN”. Non portate fiori, ma, se volete, aiutate Emergency, che troverete in un punto di raccolta sul posto.

Francesco, primo a prendersi in giro, persino “cinicamente”, era davvero la voce più bella di questa straordinaria musica senza confine che, misteriosamente, qualcuno ha definito “rock progressivo”. Gli altri amici/artisti non se ne abbiano a male, Big era unico.

L’ULTIMO SORRISO: Cantiamo le sue/nostre canzoni come le avrebbero cantate i nostri nonni… perché ancora ci f

acciamo le foto con le nonne dei paesi e sentiamo le loro storie di magie e di speranze… ed è ancora da quelle foto in bianco nero, foto di sudori, sorrisi e speranze, che troviamo la nuova poesia. I nostri avi non portavano cappelloni e non guidavano diligenze come nei film western di John Ford… ma, a dorso d’asino e un cappello di paglia con una spiga di grano tra i denti, immaginavano forte qualcosa che non li avrebbe traditi… un amore… un amico… un paese… ed è a loro memoria e a nostro futuro che andiamo in giro a raccontare di come la canzone della nostra vita possa e debba essere “progressiva”, proprio in questi tempi ineducati e frettolosi, funestati da MP3 di bassa qualità e suoni di sottofondo scambiati per musica… come un vecchio giro d’Italia di 50 anni fa, quando si andava a trovare la gente sull’uscio di casa… e non si andava mai via senza un sorriso senza un saluto senza un abbraccio…

Ciao Francesco… per noi sarai sempre Big del Banco… fino alla fine nei nostri cuori…

“Non mi svegliate ve ne prego

ma lasciate che io dorma questo sonno,

c’è ancora tempo per il giorno

quando gli occhi si imbevono di pianto,

i miei occhi… di pianto”

“Non mi rompete”, dall’album “Io sono nato libero” del Banco del Mutuo Soccorso – 1973

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