Pino Scotto sulla trap: “Se avessi dei figli così, li prenderei a calci nel culo”

Pino Scotto

Pino Scotto mette sangue e sudore in tutto ciò che fa e lo conferma in questa intervista dove presenta DOG EAT DOG, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa.

Il 27 marzo scorso è uscito per Nadir Music l’ultimo progetto dell’icona nazionale dell’hard rock, Pino Scotto: DOG EAT DOG. L’ex frontman dei Vanadium torna con un disco che si conferma differente dai precedenti, mantenendo però la coerenza dei valori e dei messaggi che da tempo si impegna a portare sia sul palco che in tv. L’intento è quello di far riflettere l’ascoltatore sui problemi della società di oggi e sull’importanza della buona musica, quella che si occupa di affrontare argomenti “impegnati”.

Quanto è importante per te che la musica sia “impegnata”? Credi che in Italia, sotto questo punto di vista, il mercato discografico stia facendo dei passi avanti o indietro?

Figuriamoci, molto indietro! C’è sempre stato un gruppo di artisti e musicisti “impegnati”, che però con il tempo si è rimpicciolito fino ad arrivare ai giorni nostri, ovvero alla follia: basti notare l’arrivo della trap. Io sinceramente riuscivo a tollerare l’arrivo del rap e dell’hip-hop (che comunque non ho mai considerato musica), ma non accetto il fatto che questi ragazzini, che ancora si pisciano a letto, scrivano dei testi allucinanti. Se avessi io dei figli così, li prenderei a calci nel culo dieci volte al giorno. La cosa che mi preoccupa è il fatto che la massa di giovani ascolta prevalentemente questo “genere”, ciò significa che quelli della mia generazione e di quelle successive hanno perso.

A ogni modo, tra i generi musicali che hanno raccontato e denunciato vari aspetti della società, vediamo affiancarsi sicuramente sia il rock che il rap. Ti senti di associare questi due generi sotto l’aspetto tematico?

Certo, ma solo se si parla del rap vero, quello che è nato nei ghetti. Io l’ho sempre considerato il nuovo blues poiché fatto da gente che viene dal popolo, dalle gang, da persone che denunciano il disagio della società in cui vivono. Io sono stato sempre talmente propenso a sperimentare e a uscire dalla mia comfort zone che ho anche sperimentato il rap: ho infatti inciso dei brani con Caparezza, con i Club Dogo e con J-Ax. Ho chiesto espressamente la loro collaborazione nei miei brani pensando di poter contaminare il rap con il rock’n’roll e per un po’ ci ho creduto. Poi, però, a parte Michele Caparezza, che rispetto come musicista e come essere umano, gli altri sono diventati dei clown: non c’è nemmeno quel poco di rabbia sociale che riportavano nei testi anni fa. Per soldi si sono ridotti a fare delle cose abominevoli.

Non è facile resistere alla tentazione di proporre un prodotto sempre uguale che sai già verrà apprezzato. Quindi, quanto è difficile reinventarsi ogni volta? Non hai paura che i tuoi fan non apprezzino tutti i tuoi cambiamenti?

In effetti sarebbe stato comodo, dopo i Vanadium, vivere di rendita come hanno fatto gli Iron Maiden, i Metallica e tutti quelli che continuano a fare dal vivo la stessa scaletta che facevano 20 anni fa... ma io non sono così. Non ci penso neanche al fatto che un prodotto sia andato bene in passato, anzi mi sento anche in colpa a farne un altro uguale solo perché so che ha funzionato. Questo fa parte della coscienza artistica che uno dovrebbe avere. Ho notato, inoltre, che alcune band metal e hard rock continuano a parlare di draghi, di mostri, di principesse... ma con tutti i guai che abbiamo in questo Paese, bisogna parlare dei problemi reali, del popolo!

Con che messaggio vorresti chiudere questa intervista?

Un messaggio per le band: smettetela di fare tributi e fate musica vostra! Se avete bisogno di guadagnare quei 30 euro che vi danno quando andate a suonare nei locali, cercatevi un lavoro diverso e poi fate musica vostra; sono meglio tre accordi sbagliati piuttosto che scopiazzare e scimmiottare gli altri. E poi, ci vuole più unità tra i musicisti italiani, quelli veri, eh! Questa è una cosa che ho imparato anche quando ho lavorato in fabbrica, si riusciva a ottenere qualcosa e a farsi sentire solamente quando si stava tutti insieme e quando si scioperava. Bisognerebbe creare un partito dei musicisti, una categoria che non viene mai calcolata e che non è stata presa in considerazione neanche in questa emergenza.

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