I bootleg: pirateria o legalità?

Il bootlegging, un fenomeno immortale tra pirateria, legalità e la nascita di alcuni capolavori indiscussi.

Quando un artista deve rilasciare nuovi brani non è raro che qualcuno riesca a evadere i controlli e a metterli in rete prima del tempo. Ma il fenomeno del bootlegging non è assolutamente una cosa nuova.

Partiamo dall'origine del nome, che è l'unione delle parole inglesi boot e leg, ovvero "stivale" e "gamba". Il nome del fenomeno prende ispirazione dall'abitudine di nascondere piccoli oggetti rubati (soprattutto alcolici durante il proibizionismo americano) all'interno degli stivali. Quindi già dalle sue origini, si può ben capire la connotazione negativa legata al bootlegging.

Rendere disponibili delle registrazioni prima della data ufficiale di release – o addirittura dei brani scartati che nessuno aveva intenzione di pubblicare – senza il consenso dell'artista in questione, può danneggiare gravemente l'industria musicale.

Questa connotazione negativa non è però valida per tutti i bootleg. Alcuni vengono infatti acquistati e distribuiti dalle case discografiche o dagli stessi artisti, rendendoli quindi legali. In questo caso, i bootleg diventano a tutti gli effetti degli album pubblicati legalmente

L'industria del bootlegging, però, non è sempre amatoriale o casalinga: i bootleg spesso hanno una qualità del suono molto buona perché a produrli sono veri e propri tecnici e professionisti che ripuliscono la traccia originale da eventuali suoni di sottofondo.

La qualità del suono era però molto variabile. Negli anni 70 i bootleg che venivano venduti erano soprattutto registrazioni di eventi live ai quali la maggior parte della popolazione non poteva partecipare, in quanto i grandi tour spesso non prevedevano date vicine a cui fosse possibile partecipare. Uno dei più famosi bootleg della storia è proprio una registrazione di un concerto californiano dei Rolling Stones risalente al novembre 1969 e commercializzata poco più tardi con il nome di LIVE'R THAN YOU'LL EVER BE.

Inoltre, è anche sbagliato pensare che i bootleg siano semplici copie pirata di album già pubblicati che cercano di riprodurne copertina e contenuti con un impegno qualitativo di grado minore. Sviluppandosi, l'industria del bootlegging ha iniziato a prevedere anche l'inserimento di artwork originali per le copertine degli album prodotti.

Oltre ai bootleg di eventi dal vivo, inizialmente andavano molto anche quelli di tracce non autorizzate alla pubblicazione e di interviste registrate dal vivo o magari di demo riservate alla stampa o agli addetti ai lavori. 

Per quanto riguarda la riproduzione di tracce non autorizzate, abbiamo un esempio famosissimo di bootleg (che fu anche il primo collegato all'ambiente rock): GREAT WHITE WONDER, una raccolta di tracce registrate in studio da Dylan nel 1967. Il nome prese spunto dalla copertina della raccolta, completamente bianca (come era consuetudine inizialmente) per non attrarre troppo l'attenzione delle case discografiche. Dylan pubblicò il disco legalmente anni dopo e viene ora considerato uno dei suoi capolavori.

Il bootlegging nel mondo del rock continua, e anche oggi continua ad avere la sua attrattiva, nonostante le tecniche siano cambiate rispetto all'inizio. Dopo i vinili pirata, sono arrivati i primi CD pirata negli anni 80 mentre già a partire dagli anni 90, nuovi brani iniziarono a essere diffusi online senza autorizzazione (si parla di leak, inglese per "fuga di notizie").

Negli ultimi anni, però, leggi sul copyright progressivamente sempre più dure hanno messo in difficoltà l'indutria del bootlegging illegale per favorire i bootleg prodotti e commercializzati legalmente. 

La morale è: per sostenere l'industria musicale, l'unico modo è allontanarsi dalla pirateria e comprare copie originali degli album dei propri artisti preferiti. 

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