Soft Machine: quella composizione “mostruosa”

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Tra le tracce che i Soft Machine incisero per il loro album FOURTH, ce n'era una talmente complicata da lasciare stupefatto qualsiasi musicista. Ecco quale.

Nell'autunno del 1970 Robert Wyatt, Elton Dean, Hugh Hopper e Mike Ratledge entrarono negli Olympic Studios di Londra. I quattro membri dei Soft Machine trascorsero sei giorni in una piccola sala di incisione, accanto a quella, più grande, dove alcuni giganti del rock come i Beatles, gli Who o i Rolling Stones erano soliti registrare i loro dischi.

A differenza di quanto accadeva quando questi gruppi erano impegnati in sala di registrazione, fuori dagli studi non si radunarono molti giornalisti o fotografi inglesi. I media francesi, invece, la pensavano diversamente: appena si venne a sapere, infatti, che i Soft Machine erano al lavoro su un nuovo album, venne subito inviata una troupe televisiva per documentare il processo di incisione di FOURTH. Così lo spazio in sala, già abbastanza limitato, si riempì di altre persone e apparecchiature.

Insieme al quartetto era presente anche il contrabbassista Roy Babbington che, nell'arco di un paio d'anni, sarebbe entrato a far parte del gruppo a tutti gli effetti.

Nei filmati, ancora visibili su Youtube, Mike Ratledge suona al pianoforte una composizione intitolata Teeth ovvero "denti". Il motivo? Era così complicata da eseguire che tutti i musicisti che ci avevano provato si erano lasciati andare a un’esternazione di stupore: "Hell’s teeth!" ("Per la miseria!").

Lo stesso Roy Babbington ricorda ancora l'agitazione del momento in cui fu costretto a cimentarsi con quella complicatissima partitura: "Quel pezzo era mostruoso", ammette oggi ridendo, nonostante fosse un vero e proprio veterano della "lettura a prima vista".

Quello che tiene insieme il tempo in quel pezzo, e non solo, è il modo in cui Ratledge lo suona. È tutto merito suo. Ha un modo di attaccare le note... lo puoi notare anche fisicamente, come si muove il suo corpo. È una questione totalmente fisica.

Ratledge, secondo Bennington, era un personaggio eccezionale. Ma nemmeno Roy, quel giorno, fu da meno. I pregevoli servigi di Babbington e del suo contrabbasso furono richiesti infatti anche nel 1972, durante l'incisione di FIFTH, probabilmente l'album più enigmatico e complesso dell'intera discografia dei Soft Machine.

L'articolo completo e l'intervista a Roy Babbington, firmati Sid Smith, sono disponibili sul numero 30 di «Prog», sul nostro store online.

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