Intervista a Enzo Gentile: gli ultimi giorni di Jimi Hendrix

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A 50 anni dalla morte di Jimi Hendrix, Enzo Gentile ci racconta l'ultimo mese di vita del leggendario chitarrista, in un libro scritto insieme a Roberto Crema. 

Cinquant'anni dopo la morte di Jimi Hendrix, il mito non si è ancora spento. Certo, separare il mito dalla realtà di tutti giorni e soprattutto dalla tanta - troppa - disinformazione che circola ancora oggi intorno al musicista di Seattle è molto difficile. Ma il giornalista e critico musicale Enzo Gentile e Roberto Crema, curatore del blog Jimihendrixitalia.blogspot.it e presidente dell'omonima associazione, ce l'hanno decisamente fatta. 

Il loro nuovo libro, The Story of Life: gli ultimi giorni di Jimi Hendrix, edito da Baldini+Castoldi/La nave di Teseo, sonda minuziosamente la parabola di Jimi Hendrix nell'ultimo periodo della sua vita, selezionando le interviste e le testimonianze più interessanti provenienti da coloro che condivisero al tempo il palco con il chitarrista, le trasferte ma anche il tempo libero.

Ecco cosa ci ha detto Enzo Gentile che, oltre che critico e giornalista, si ritiene hendrixiano praticamente da sempre...

JIMI HENDRIX LIBRO

Partiamo dall’inizio. Come è nata l'idea di un libro dedicato agli ultimi giorni di Jimi Hendrix? E l'idea di scriverlo a quattro mani con Roberto Crema?

Insieme abbiamo già scritto un libro due anni fa, dedicato al tour italiano di Hendrix nel maggio ’68. Quindi avevamo già sperimentato questa formula a quattro mani. Attingendo al grande archivio che Roberto ha, abbiamo visto come sulla storia di Jimi Hendrix tutto sommato ci fosse molto poco rispetto al periodo immediatamente precedente alla morte. Dato che la morte di Hendrix all'epoca era stata al centro di molti scandali e di tanta disinformazione, abbiamo pensato che fosse giusto intervenire con i documenti alla mano, in modo che si potesse fare luce su una vicenda ancora molto confusa e caotica.

Il libro è un repertorio ricchissimo. C’è persino il bugiardino del farmaco che Hendrix assume l'ultima notte… È stato difficile recuperare questo materiale?

È stato difficile più che altro ordinarlo: c'era tantissimo a disposizione. Il quadro che abbiamo dato, inoltre, voleva essere molto ampio: partendo dal mese precedente alle morte, abbiamo voluto affrontare anche il periodo successivo (eredità, funerale). Intorno al personaggio c'era, secondo noi, il bisogno di fare un po’ di luce. Al momento nessuno si è lamentato e questo ci ha gratificato molto, perché abbiamo voluto fare un lavoro giornalistico.

Questo, tra l’altro, non è il primo libro che dedichi alla figura di Jimi Hendrix…

Si, questo è il quarto libro. Se negli altri libri ho più puntato sulla dimensione artistica e musicale, questa volta abbiamo pensato di fare qualcosa che non esisteva. Abbiamo raccolto testimonianze, ordinato materiale e abbiamo visto che c'erano molte cose da integrare. Delle tante interviste che Hendrix ha rilasciato nei giorni precedenti alla morte, abbiamo scelto i passaggi che ci sembravano più interessanti non solo per inquadrare l'artista, ma anche l'uomo, un ragazzo di 27 anni, perché quello in fondo era…

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Nella prefazione del libro, Leon Hendrix scrive: “Mio fratello nel fare musica sembrava essere toccato dalla grazia”. Ecco, Jimi non era solo una star. Come tu e Roberto mettete in luce, Jimi era anche un ragazzo comune, che si sentiva a disagio in mezzo alle feste (lo dice anche lui stesso a Patti Smith!). Quanto c'era a tuo parere di magico e quanto invece di umano, di concreto, nella figura di Hendrix?

Quello che c'era di umano lo abbiamo scoperto anche noi mettendoci a cercare! Abbiamo proprio visto come nei giorni a Londra, senza impegni di tour, Hendrix faceva shopping con la fidanzata, andava al cinema, prendeva il tè. Tutto questo va a rappresentare una figura che è lontanissima dalla star maledetta. Certo, Jimi era creativo e rivoluzionario attraverso la musica, ma poi nella vita di tutti i giorni era una persona molto espansiva, molto generosa (concedeva interviste e autografi a chiunque!). Era una persona avvicinabilissima e non viveva sotto una campana di vetro. Stava cercando un po' di serenità…

Ecco, a proposito di questa serenità tanto agognata... Leon parla di Jimi come di un ragazzo travolto da una “macchina infernale che lo ha stritolato”. Che idee vi siete fatti sulla morte di Hendrix, tra miti e fake news?

Abbiamo innanzitutto escluso che fosse stata una morte per droga o che fosse stato addirittura un complotto. E poi il fratello scrive “mio fratello è stato ucciso”, ma è un omicidio simbolico, metaforico… Hendrix era sicuramente stretto tra molti interessi, tra molte persone che pretendevano da lui qualsiasi cosa e questo lo aveva sicuramente indebolito. Quella vita lì la voleva sicuramente sospendere, voleva dedicarsi ad altro.

In Danimarca, poco prima del concerto, Hendrix dice: “Io sono l’autista dell’autobus e voi i miei passeggeri”. Questo commento, come tu stesso scrivi, riassume tutta la sua musica: Jimi è il capitano, vuole portare gli ascoltatori nel suo viaggio spaziale, dove le onde sonore possono stimolarli. Credi che ci sia qualcuno, al giorno d'oggi, che abbia raccolto l’eredità di Hendrix e sappia fare musica con la stessa intensità?

Direi di no, in una forma diretta, anche se sicuramente il suo modo di suonare è stato molto influente per più generazioni. Sono in tanti i musicisti che parlano di Hendrix come di un'ispirazione presente. Questo non vuole dire, però, che ci sia quel tipo di luce, di tensione, di spiritualità che c'era con Hendrix. È cambiato anche molto il mercato, la forma con cui si porta la musica alla gente. Negli anni in cui Hendrix suonava, si ascoltavano gli LP con gli amici, c'era una ritualità che oggi con la pubblicazione istantanea in rete di qualsiasi prodotto si è venuta a perdere. Questo ha trasformato molto anche il modo in cui lavorano gli artisti.

Quindi in un mondo come quello di oggi, dominato da un mercato musicale di tipo diverso, che senso ha parlare ancora di Jimi Hendrix? 

Beh, si potrebbero fare esperimenti. Fare ascoltare alcuni suoi pezzi senza dire a quale epoca appartengano. Sicuramente molti brani hanno un'attualità e una modernità indiscutibili. Molti brani che hanno 52 anni potrebbero sopravvivere di fianco all'ultimo album di Lenny Kravitz o dei Red Hot Chili Peppers… A differenza di altri artisti, morti più o meno nella stessa epoca, di cui si parla solo al passato, credo che di Hendrix si possa parlare anche al presente perché la sua musica non è invecchiata.

Dedichi l'ultima parte del tuo volume alle “storie degli altri” e ai fatti storici del 1970. La figura di Hendrix non è isolata, ma inserita in un contesto preciso. Come avete pensato a questo pezzo di storia?

Per quanto riguarda il recupero di queste notizie, è una cosa che mi piace molto. Penso che non si possa giudicare un fatto storico o un prodotto artistico senza inserirlo nel contesto a cui appartiene. È un’operazione anche semplice, abbastanza meccanica. Mettiamo insieme, vediamo cosa succede in quel periodo, vediamo il gusto del pubblico. Da qui, secondo me, emerge una volta di più la grandezza di Hendrix, la sua unicità: se diamo un’occhiata alla musica che c’era alla radio o in classifica in quell'istante, ci accorgiamo di come molte di quelle cose le abbiamo dimenticate, sono revival. La musica di Hendrix non lo è.

Ultima domanda. Progetti futuri che ci vuoi anticipare?

Al momento, davvero, non ne abbiamo. So che Roberto, che lavora sul blog, continua a cercare materiale. Tra due anni sarà l'ottantesimo anniversario della nascita di Jimi... magari ci viene in mente qualcos'altro, per ora non so. Io credo che abbiamo chiuso un capitolo dal punto di vista editoriale, un capitolo di cui siamo soddisfatti. Quello che è uscito è quello che ci sentivamo di fare.

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