La ristampa di ULTRAMEGA OK
Nell’autunno del 1988 il cosiddetto grunge era ancora lungi dall’essere un fenomeno di reale rilevanza planetaria, ma i Soundgarden (che, a Seattle, facevano parte del plotoncino dei suoi prime mover) erano già quasi stelle del circuito underground a stelle e strisce; i 3 dischi editi dalla sempre più emergente Sub Pop, specie il mini-Lp SCREAMING LIFE, avevano raccolto curiosità e consensi, al punto che più di una major (al tempo ce n’erano parecchie) aveva manifestato interesse.
I ragazzi, tutti meno che trentenni, preferirono invece pubblicare il loro primo album per la lanciatissima SST, l’etichetta dei Black Flag. Con il senno di poi, la scelta non si rivelò però azzeccata, non per le fortune del 33 giri, che andò decisamente bene, ma per i contenuti dello stesso: secondo il quartetto, il produttore Drew Canulette, voluto dalla label, non si rese pienamente conto del tipo di gruppo con cui interagiva, penalizzandone in qualche misura le doti. Già allora si parlava di un remix da affidare a Jack Endino, l’eminenza nient’affatto grigia del suono del Nord-ovest, ma non se ne fece nulla; a breve, la band avrebbe firmato un contratto con la A&M approdando al successo su assai più vasta scala, e l’idea morì lì.
28 anni e mezzo dopo la première, ULTRAMEGA OK rivede la luce con il marchio della Sub Pop (in un certo senso, un cerchio che si chiude), remixato appunto dal vate Endino e arricchito di 6 demo di episodi già presenti in scaletta, oltre che dotato di una nuova copertina; solo un tentativo di rimediare a vecchi errori e non di riscrivere la storia, su questo non ci sono dubbi, ma benché la versione riveduta e corretta vanti nel complesso una resa sonora migliore (il che non significa che taluni non possano comunque preferire quella più “rozza” dell’epoca), il puntiglio avrebbe potuto essere soffocato, lasciando le cose com’erano. In fondo, i Soundgarden sono diventati i Soundgarden con l’Lp del 1988, e il rimaneggiamento a posteriori non aggiunge alcunché di sostanziale a 12 canzoni (perché One Minute Of Silence non è una canzone: cosa sia lo spiega quasi alla lettera il titolo) di brillante cupezza (o cupa brillantezza, fate voi) che giustificano la definizione “Led Sabbath” (Led Zeppelin più Black Sabbath, ovvio) che la stampa volle affibbiare a Chris Cornell, Kim Thayil, Hiro Yamamoto e Matt Cameron.
Al contrario, sono sensati e apprezzatissimi il recupero dei demo, fissati su nastro 30 anni fa sempre da Endino, che immortalano l’ensemble in una veste più ruvida e istintiva, le note (di Thayil ed Endino), le foto finora mai viste di Charles Peterson.