Steven Wilson ha guidato dall'inizio alla fine il percorso dei Porcupine Tree, una delle band più interessanti sullo scenario progressive rock. Ma cosa lo ha portato a chiudere i battenti e intraprendere la carriera da solista?
Originali a partire dal nome. Sono i Porcupine Tree, musicisti in lotta per la sopravvivenza musicale, come "porcospini" tra le fronde degli alberi. I loro aculei si fanno promotori della rivoluzione psich-prog agli albori degli anni Novanta. Influenzati dai Pink Floyd e dai Genesis, tra gli altri, i Porcupine Tree rimescolano il passato aggiungendo pulsioni elettroniche che variano continuamente.
Sono tanto iconici quanto il loro frontman e fondatore, l'appassionato di informatica Steven Wilson, probabilmente una delle menti creative più prolifiche degli ultimi trent'anni. Non ci solo solo i Porcupine Tree. All'appello si aggiungono i No-Man, oltre a variegate produzioni da solista e collaboratore, che portano Wilson verso scenari sempre più sperimentali, abbracciando anche il pop commerciale.
Dalla dissoluzione della band, nel 2010, Wilson ha collezionato cinque brillanti album da solista. Tra questi, di forte impatto emotivo è l'album HAND.CANNOT.ERASE (2015), considerato come il prodotto della maturità di Wilson. Qui Wilson parte da un fatto di cronaca - una ragazza trovata morta nel suo appartamento dopo due anni - per parlare di solitudine e abbandono. Permane nei suoi album dopo i Porcupine Tree quell'aura dark e gotica che rende la narrazione oscura, di un'oscurità plasmata e condotta alla perfezione. Ma non manca l'esigenza febbrile di ritagliare frammenti di storia musicale per comporne una texture tutta originale.
Nella musica di Wilson sopravvive la sperimentazione, ossatura antica del progressive. Proprio dall'anima progressive volevano separarsi i Porcupine Tree, ma non Wilson.
Nel 2010, i fan più vicini alla band intuiscono già aria di separazione con l'album THE INCIDENT, firmato dal gruppo, ma composto da una suite di 55 minuti divisa in 14 frazioni e realizzata interamente da Wilson. Quasi come fosse il suo canto del cigno, con un'apoteosi di sfumature, tra hard e soft rock, elettronica, progressive. La band era ormai connotata da un marchio stilistico che gli stava stretto e Wilson aveva bisogno di lasciarla. E cambiare.
Sentivo di essere diventato schiavo di quel sound. Non pensavo ad arrangiare un pezzo come sentivo di volerlo, ma a farlo in una maniera tale in cui i fan potessero riconoscerlo, e dire 'sì, è un pezzo dei Porcupine Tree!'. Ho sentito e sento tuttora il bisogno di dedicarmi a me stesso, di fuggire da quello stereotipo.