Survivor: la vera storia di “Eye of the Tiger”

Che sia per andare a correre, per prepararci per un colloquio o per svegliarci carichi la mattina, questa canzone è perfetta per "tirare fuori la tigre dentro di noi".

Face to face, out in the heat
Hangin' tough, stayin' hungry
They stack the odds, still we take to the street
For the kill with the skill to survive.

Quel “restare affamati” è la sensazione che ci lascia un brano del genere: dopo averlo ascoltato ci sentiamo pronti a battere al tappeto l’arrogante Clubber Lang, il rivale designato nel terzo capitolo della saga di Rocky… poi magari finiamo a imbiancare casa e a portare 12 litri d’acqua per 6 piani di scale.

Insomma, la carica eccede come dopo tre tazze di caffè, ma la verità è che non possiamo fare a meno di questa energia – e magari esageriamo pure ascoltando Another One Bites The Dust dei Queen, per il colpo di grazia finale.

Insomma, un giorno del 1982 Sylvester Stallone chiese ai Survivor di comporre un brano che fosse un misto di Another One Bites the Dust e Poor Man’s Son. L'attore in realtà voleva proprio Another One Bites the Dust, ma i Queen avevano rifiutato di cederne i diritti per Rocky III. I Survivor invece accettarono, e dal lavoro di Frankie Sullivan e Jim Peterik venne fuori Eye of the Tiger.

La canzone, che divenne anche il titolo dell’album dei Survivor, catapultò la band in cima alle classifiche, piantando le unghie nella Billboard Hot 100 per sei settimane consecutive (per dirne una). Arrivò a vendere, tra vinile e digitale, 9 milioni di copie; fu votata la 63esima migliore canzone rock di tutti i tempi e potremmo continuare per ore su questa linea.

Parlando invece del background, per la scelta del titolo la band pensò immediatamente a Eye of the tiger, che appare nel testo del brano. Poi ci ripensarono, perché sembrava un po’ una banalità. Meglio chiamarla Survival, che invece sprizzava originalità se accompagnata dal nome della band.

Per fortuna fecero ulteriore retromarcia, scegliendo un titolo graffiante come questo.

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