JOHN LENNON/PLASTIC ONO BAND: quando l’ex Beatle cantò ai suoi demoni

John-Lennon-Plastic-Ono-Band1

Il 1970 fu l'anno di dissoluzione dei Beatles, un anno in cui John Lennon lanciò il suo intimo e toccante esordio, affiancato dall'immancabile musa Yōko. Ma di cosa parla quel primo disco così sofferto e personale?

I traumi personali sono ferite nascoste, ma mai rimarginate e più passa il tempo, più si avverte la loro presenza dolorosa. Questo lo sa bene John Lennon che, nel 1970, chiuse la parentesi decennale con i Beatles. Con loro era cresciuto, rintanandosi gradualmente in una gabbia dorata che non permetteva, nella frenetica idolatria del successo comunitario, di far emergere un grido personale. C'era già stata un'avvisaglia con HELP!, nel 1965, ma quell'urlo era ancora incanalato in un dinamismo pop che non rifletteva il Lennon maturo.

Un uomo che aveva conosciuto l'effetto straziante della dipendenza da eroina, il limite oppressivo del successo dell'enfant prodige e un misticismo spirituale e liberatorio tale da scarnificare il corpo per raggiungere l'anima. E tutta questa compagine di sentimenti complessi e contrastanti emerge in JOHN LENNON/PLASTIC ONO BAND, il primo album solista del musicista dopo la chiusura dell'era beatlesiana. Qui Lennon è metaforicamente solo davanti ai suoi demoni, ai fantasmi del passato e del presente, a cui può urlare in faccia tutta la rabbia, la frustrazione, l'angoscia e il dolore accumulatosi negli anni. 

E tale dirompenza emotiva incontra paradossalmente uno stile musicale semplice, scarno, pulito ed elementare, che si accompagna al basso di Klaus Voorman, alla batteria di Ringo Starr e al piano di Billy Preston. Quest'ultimo tinge l'atmosfera di uno dei brani più belli dell'album, Godin cui Lennon abbraccia la poesia di un verso come: "Dio è un concetto mediante il quale misuriamo il nostro dolore". Ma oltre all'analisi demonizzata della religione e delle utopie degli anni Sessanta e all'affondo somatico nella reminiscenza dell'astinenza da eroina, Lennon scava molto più a fondo, raggiungendo il suo primo conflitto irrisolto: l'abbandono da parte della madre, Julia, quando lui aveva solo quattro anni. 

Una figura materna volatilizzata e una paterna mai conosciuta incidono nella psiche una sofferenza indelebile. Così l'album non può che iniziare con una dedica a Julia, già ricordata nel WHITE ALBUM, Mother. Un'elegia funebre, che si riallaccia a un altro brano su di lei, My Mummy's Dead. Uno in apertura del Lato A del disco e uno in chiusura del Lato B, come a incorniciare un percorso di conoscenza interiore che trova il suo nodo fondante nel conflitto materno. Per questo, l'album può essere considerato un viaggio terapeutico per John Lennon, che aveva composto la sua piccola perla dopo una sosta californiana di quattro mesi, accanto allo psichiatra Arthur Janov. 

Quest'ultimo è l'autore della teoria dell'urlo primario attraverso cui si ritorna a una dimensione primordiale con l'abbattimento delle barriere psicologiche, per fare luce sul profilo più adombrato della psiche.

Ed è questo che serviva a John, che ne ha incanalato il tormentato sviluppo in un'opera dove la voce fa da padrona, senza artifici e infiorettature, ma con una limpidezza e un abbandono sincero. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

You May Also Like