Truffa nel rock: ecco chi rubava a Beatles e Rolling Stones

Si muove spavaldo nel music business e, quando tratta per i suoi clienti, fa il duro e la spunta quasi sempre. Ma Allen Klein è anche un gran figlio di puttana. Ne sanno qualcosa i Rolling Stones e i Beatles.

Nell’aprile del 1969, in un articolo del «Sunday Times» il successo di Allen Klein viene attribuito a “una sorprendente miscela di bluff, pura e semplice determinazione, spregiudicatezza finanziaria, spiccata tendenza a far parlare di sé e capacità di mentire come un bugiardo matricolato”. Il giudizio è più che pesante ma, per quanto possa creare problemi ai suoi affari, difficilmente può scalfire l’autostima di Klein.

Il tipo è uno tosto e sulla scrivania dell’ufficio della sua ABKCO, al quarantunesimo piano di un grattacielo dell’Upper West Side di New York, tiene una targa con una parodia del salmo 23, che ama utilizzare anche per le sue cartoline natalizie: “Sì, sebbene io cammini nella valle dell’ombra della morte, non avrò da temere alcun male, perché sono il più grande bastardo della valle”.

Me L’ETICA È SOLO UNA PAROLA

Furbo, spietato, vendicativo e infido, Klein fuma solo le sue adorate pipe, è astemio ed è terribilmente workaholic, da mezzogiorno fino a notte fonda però. Nel suo lavoro si considera un creativo, proprio come gli artisti di cui si occupa, ed è abilissimo a leggere i libri contabili alla ricerca di magagne, una cosa che gli piace molto. Nel 2002 spiegherà allo «Star-Ledger» di non aver “mai voluto essere un manager. Amavo esaminare le carte e sono stato bravo in questo”. Ma soprattutto, è davvero un asso quando deve trattare per i clienti, che si affidano a lui entusiasti per la sua formidabile capacità di spremere soldi alle case discografiche.

Perché Klein è maleducato, sbruffone, azzarda, spara altissimo, intimorisce la controparte e alla fine vince. Purtroppo, però, dopo si tiene per anni le royalties spuntate per i suoi “protetti” e ci fa i comodi suoi. “Come i musicisti fottono le groupie, la mia reputazione è quella di fottere i miei musicisti”, dichiara ironicamente nel 1971 a «Playboy». Nella stessa intervista, spiega la sua morale: “Non parlatemi di etica. Ogni uomo deve fare le sue cose. È come una guerra. Scegli subito da che parte stare e da questo momento possono spararti. È possibile che l’uomo che hai battuto in una negoziazione testa a testa ti definisca immorale. E allora?”.

Così, non stupisce che alcuni dei suoi musicisti se lo ricordino nelle loro canzoni. Attacca già nel 1969 Paul McCartney con You Never Give Me My Money. Poi c’è il provino di Beware Of Darkness, in cui George Harrison ci scherza su (“attenti ai truffatori con le scarpe morbide che ballano lungo i marciapiedi, ti spingono nelle pozzanghere nel cuore della notte. Attenti alla ABKCO”).

Ed è sempre Harrison a suggerire a Eric Idle dei Monty Phyton di ritrarre Klein nell’esilarante mockumentary parodistico sui Beatles All You Need Is Cash, al quale partecipa. Qui il “bastardo” si chiama Ron Decline ed è il terribile manager di cui tutti hanno paura. A interpretarlo è John Belushi, e spassosissima è la scena in cui davanti allo specchio prova una parte difensiva, pacata, amareggiata, melodrammatica, falsissima, da recitare a un cliente che vorrebbe sapere dove sono finiti i suoi soldi.

E poi, escludendo Steel And Glass di John Lennon che, più volte citata tra le canzoni “contro”, è in realtà frutto di un’analisi dell’autore su se stesso, Klein è il protagonista di Who Are You degli Who. Pete Townshend la scrive dopo un’orribile notte alcolica provocata da una giornata massacrante: “Undici ore nella ‘Tin Pan’” (Tin Pan Alley, usata come simbolo del music business) per richiedere i suoi diritti a quello che definirà come “il fantastico padrino delle sanguisughe del rock”.

 

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Mario Giugni

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