LA COPERTINA DEL MESE: Red Hot Chili Peppers

FUNK, ATTI OSCENI E CASE INFESTATE

La storia di BLOOD SUGAR SEX MAGIK, e di come i Red Hot Chili peppers rinacquero dalle loro ceneri, per poi finire sull’orlo del baratro un secondo dopo…

All’inizio, il frontman dei Red Hot Chili Peppers, Anthony Kiedis, non era sicuro di volere che il suo gruppo lavorasse con il controverso produttore Rick Rubin sul disco che sarebbe poi diventato BLOOD SUGAR  SEX MAGIK del 1991. A pelle, sentiva che non ne sarebbe uscito nulla di buono. “Non sapevamo se potesse legare con noi, visto che era pappa e ciccia con gli Slayer e con quei caproni dei Danzig”, ammetterà in seguito Kiedis, riferendosi alle precedenti produzioni di Rubin.

E invece, alla fine si rivelò una persona molto aperta, gradevole, uno su cui si poteva contare”. Le riserve di Kiedis erano comprensibili. La fine degli anni 80 aveva colpito duramente il gruppo. Da un lato, la crescita del successo commerciale, dall’altra la morte del chitarrista – e fondatore – del gruppo, Hillel Slovak, stroncato da un’overdose di eroina. Per poco, all’inizio del 1988, Slovak non era stato cacciato dal gruppo, dato che la sua salute e la sua tecnica musicale iniziavano a peggiorare in modo troppo evidente, e dopo un concerto penoso dei Chilis a Washington tutti avevano deciso di mandarlo via. La cosa rientrò all’ultimo secondo perché Angelo Moore dei Fishbone, il gruppo che aveva fatto da apertura ai Chilis, intervenne e riuscì a far cambiare idea a Kiedis, spiegandogli che Slovak aveva bisogno dei suoi amici, ora più che mai. Così, Kiedis pensò di dargli un’altra possibilità e Slovak s’imbarcò con il gruppo per un tour inglese. Il chitarrista non apparve però quasi mai nelle interviste che il gruppo concesse alle testate britanniche: la scusa ufficiale era che “dormiva”. Quattro settimane dopo il ritorno a casa, nel giugno del 1988, Slovak era morto.

Foto via: xayollar.net

La tragedia della morte di Slovak

Ovviamente, la tragedia gettò il gruppo nello sconforto. Il batterista Jack Irons mollò i RHCP (più tardi sarebbe entrato nei Pearl Jam), attribuendo agli altri la responsabilità della morte dell’amico. Kiedis si auto-esiliò in un piccolo villaggio messicano, nel tentativo di disintossicarsi, ben sapendo che, in fondo, tutti si erano sempre domandati chi sarebbe morto prima, lui o Slovak.

Quando avevo 20 anni o poco più, mi sfondavo talmente tanto con le droghe che non ho avuto altra scelta se non smettere, se volevo restare un essere umano creativo, felice e soprattutto vivo”, ricorda Kiedis. La tentazione delle droghe però rimase sempre, come ebbe ad ammettere nel 1999. “Una volta, i RHCP mi licenziarono, il che fu un bene perché ero diventato un debosciato e non riuscivo più a fare un cazzo: non andavo alle prove e non scrivevo più nulla. I ragazzi provarono ad assumere un pupazzo al mio posto, ma non funzionò, e così quando mi disintossicai mi permisero di tornare”.

Quando Kiedis tornò a Los Angeles dal Messico, il bassista Michael “Flea” Balzary aveva appena visto nascere sua figlia Clara (il cui nome si era tatuato sul petto) dalla sua moglie di allora, Loesha. Allietati da questo evento, ma anche addolorati per la perdita di Slovak, Flea e Kiedis si misero all’opera per ricostruire il gruppo.

Nel frattempo, accompagnarono un patologicamente timido 17enne chitarrista di nome John Frusciante – spettatore regolare dei loro concerti nei club  i LA – all’audizione per un gruppo locale, i Thelonious Monster. Assistendo alla sua audizione, Flea e Kiedis rimasero colpiti dalla tecnica del giovane e dalla sua capacità di imitare lo stile di Slovak, così sul momento decisero d’ingaggiarlo per i Chili Peppers.

Lo sgargiante batterista Chad Smith arrivò nel gruppo più tardi, grazie a un annuncio su un quotidiano: all’audizione, impressionò gli altri tre con un drumming frenetico, durante il quale fra l’altro sciorinò una lunga sequela d’imprecazioni. In poche parole, li conquistò e ottenne seduta stante un posto nella band.

Poi arrivò il 1989, l’anno della svolta: MOTHER’S MILK

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