Zucchero: il calcinculo che iniziò la sua carriera

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Zucchero Fornaciari in una foto d’archivio datata primo gennaio 1985. ANSA/ OLDPIX

Tutto inizia dal calcinculo di un paesino della bassa Emilia. È lì che Zucchero scopre la black music e sogna di diventare un musicista. Ce la farà, ma la strada sarà lunga e tortuosa.

Parlaci di quando ascoltavi la musica dal calcinculo del tuo paese...

A un certo punto, da Roncocesi, quindi dalla bassa Emilia, i miei si trasferirono a Forte dei Marmi, che era un posto totalmente diverso.

Cosa cambiò?

Be’, anzitutto a Forte c’erano i jukebox. Era un po’ come se fosse la California d’Italia. Lì mi si aprì un mondo, scoprii gente come Bob Dylan e Simon & Garfunkel, e soprattutto vidi che già molti gruppi suonavano usando i fiati, rifacendo i pezzi di James Brown, di Otis Redding. Non era ancora esploso il rhythm&blues come tendenza, però in quella zona lì, di gruppi che lo suonavano ce n’erano già parecchi.

Quella è sempre stata una zona a forte vocazione danzereccia. Quindi la musica ballabile era privilegiata...

Esatto. E così era anche il primo gruppo in cui entrai. Si chiamava Le Nuove Luci.

Entrasti come sassofonista, mi pare...

Il fatto è questo: io volevo per forza suonare in una band, a tutti i costi. Loro mi chiesero cosa sapessi suonare e io dissi: “Un po’ di organo”, perché l’avevo imparato in chiesa. “Ma l’organista ce l’abbiamo già”. “Allora potrei suonare la batteria”. “C’abbiamo già anche quello. In realtà stiamo cercando un sassofonista”. “Bene!”. Tornai a casa e m’indebitai per comprare un sassofono. Il famoso sax da 55 mila lire...

Sì, lo presi a La Spezia: era un sassofono da band, brutto, un Orsi con una custodia terribile, super-usato, e in una settimana mi feci insegnare la scala da uno che suonava il clarinetto al Conservatorio di Lucca. E mi presentai a questa audizione suonando tre note del cavolo e loro mi presero.

Poi un giorno in una balerona dove ci avevano ingaggiato non si presentò il cantante e visto che nessuno ricordava le parole delle canzoni dissi: “Io le so, ma non ho mai cantato”. E loro: “Non fa niente, dobbiamo salvare la serata”. Così quella sera cantai io e il giorno dopo loro licenziarono il cantante.

Come trovasti la strada?

Per un caso. È il bello della vita. Dopo aver fatto Sanremo, mi chiamarono a fare qualche serata di piazza, e un giorno suonai a Marina di Massa. Alla fine dell’esibizione, mentre stavo smontando, un tizio venne sotto il palco e si presentò. Disse: “Sono Elio D’Anna. Mi piaci, hai qualcosa. Sono un produttore”. Poi ho scoperto che era il sassofonista degli Osanna.

All’inizio ti dicevano che con quella faccia e quella voce non saresti arrivato da nessuna parte. Chi è stato il primo a incoraggiarti a essere solamente te stesso, e a crederci?

Non c’è stato nessuno. Non ho mai avuto dietro uno che mi diceva: “Sei il più forte, dai, adesso facciamo così”... All’inizio c’ero solo io e da solo ho dovuto trovare il modo di svoltare. Perché non succedeva un cazzo. Avevo fatto due Sanremo ed ero passato completamente inosservato. Poi, col nome che mi ritrovavo, Zucchero, mi facevano fare le canzoni melodiche... Mi ricordo che Fegiz mi stroncò malamente. A quel punto, decisi che dovevo riuscire a fare quello che avevo in testa.

Questo articolo è tratto dall'estesa intervista di Maurizio Becker a Zucchero: potete trovarla, insieme a molte altre curiosità, sul numero 24 di Vinile, disponibile sul nostro store online!
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