5 brani anni Settanta sulla fine di una storia d’amore

Fleetwood Mac
© Fleetwood Mac

Tra delicate sinfonie soft rock, canti sfregiati dalle pene di amore e desiderio di andare avanti si intrecciano cinque canzoni degli anni Settanta che hanno dato diverse sfumature alla fine di una relazione, connotando un dolore universalmente condiviso. 

Go Your Own Way (1977), Fleetwood Mac

Loving you isn’t the right thing to do. Così Lindsey Buckingham, chitarrista dei Fleetwood Mac, accarezza con amarezza le prime note della sua canzone, Go Your Own Way, pubblicata nel 1977 come traccia dell’iconico RUMORS. E il testo lascia affiorare le ceneri e le cicatrici della relazione tra Buckingham e Stevie Nicks, la chiromantica cantante dai capelli biondi che stregò il musicista nell'ebbrezza dionisiaca di un amore adolescenziale. Tuttavia a fine anni Settanta la loro bufera sentimentale avvolse la band, lungo l'incedere malinconico di un brano su cui i due si trovarono a duettare sul palco. La tensione è palpabile e la loro intimità sopita si consuma febbrile e drammatica, soprattutto quando Buckingham, autore del brano, divampa con il ritornello in un grido di liberazione, con lo schietto invito alla ex compagna di andare per la sua strada. 

Backstreets (1975), Bruce Springsteen

Due amanti disperati sotto le stelle di una spiaggia notturna, il desiderio di volersi per poi rinascere in un'amicizia, sperata, cercata, ma spentosi in strade nascoste. E tutte queste immagini trasudano dalle parole graffiate con trasporto lungo il canto di Bruce Springsteen al soldo del suo terzo album, BORN TO RUN. Quest'ultimo è anche il titolo che il Boss diede alla sua autobiografia del 2016, in cui rivelò di aver dedicato una delle tracce dell'album, Backstreets, alla fine di una relazione con una donna. Lui la chiama Terry, ma il nome è uno dei tanti pseudonimi che il cantautore affida alle dame delle sue canzoni, lasciti di esperienze autobiografiche. Così qualcuno ha pensato che il pezzo potesse rivolgersi alla fidanzata di Bruce durante gli anni Settanta, Diane Lozito. Ma solo Springsteen conserva le memorie di un amore e un'amicizia che ritrovano vita accanto al piano di Roy Bittan

Love Hurts (1975), Nazareth

Il primo amore non si scorda mai, ma è anche quello che fa più male. Così un giovane cuore, inesperto e abbandonato al febbrile coinvolgimento delle sue emozioni più pure, è fragile come il cristallo. Ed ecco che gli scozzesi Nazareth ne traspongono il dolore giovanile in una power ballad che conquista il 1975, svettando le classifiche. Si tratta di una cover degli Everly Brothers, registrata nel 1960 su un testo del cantautore americano Boudleaux Bryant. E l'eterna firma di questo brano riecheggia nella sua prima strofa, con la triade simbolica love hurts, love scars, love woundsSono i graffi, le cicatrici e le scottature di un amore giovanile a dettarne la preziosità tra ricordi indimenticabili. Li canta Don McCafferty, avvolto in un canto mimetico dove la felicità fugace e l'amore che inganna non danno pace, se non tra le note di questo poetico brano. 

If You Leave Me Now (1976), Chicago

Scritta e cantata dal bassista Peter Cetera, If You Leave Me Now è una delle canzoni più simboliche dei Chicago. E il gruppo affiorato nella fredda città omonima sul finire degli anni Sessanta, si fa portavoce dell'esatto momento finale di una relazione. Quello che unisce gli amanti di un tempo sull'uscio di una porta, attraverso un addio che non sembra mai realizzarsi mentre uno dei due implora l'altro di un ripensamento, anche fugace. E la sua melodia si affusola su un ritornello trainante, spinto verso i suoi vertici emozionali dalla voce acuta del suo interprete. Questo si lascia trasportare lungo una preziosa combinazione di strumenti, tra cui la chitarra, il piano, la tromba, la conga e i cimbalini a dita. Tutti ineriscono a una narrazione soft rock, che vinse anche un Grammy

Tangled Up In Blue (1975), Bob Dylan 

Ecco dunque affiorare in chiusura il Bardo di Duluth, che intesse arte e musica in un ritratto di amore, perdita, abbandono e ritrovamento. Così Bob Dylan disse nel 1986: "Io volevo che quella canzone fosse un quadro" e guarda indietro di una decina d'anni, al suo album del 1975, BLOOD ON THE BLOCKS. Un titolo che evoca sangue e binari di una storia narrata da un Dylan trentaquattrenne, poeta e cantore di frammenti autobiografici legati alla vita e all'amore. E il colore blu che plasma il titolo di Tangled Up In Bluerilascia tutta la sua natura nostalgica, malinconica, riflessiva. Proprio come le memorie dal retrogusto dolceamaro che vivono nell'eternità ed invocano per il nostro narratore, dei fantasmi femminili, da Sarah Lownds, a Joan Baez, a Suze Rotolo

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