Le Orme raccontate da Michi Dei Rossi

Michi dei Rossi

Una vita dietro ai tamburi. Michi ha suonato praticamente solo con Le Orme per non disperdere l’energiae curare al meglio il proprio stile.

Michi Dei Rossi ha attraversato tutti gli album delle Orme, unico componente sopravvissuto dall’esordio a 33 giri, AD GLORIAM del 1969, sino all’ultimo episodio, LA VIA DELLA SETA del 2011, concept prog nel senso più puro del termine.

Dall’abbandono di Aldo Tagliapietra, nel 2009, il batterista veneziano ha preso le redini del gruppo e lo ha ancor più diretto verso quel rock progressivo di marca dichiaratamente anni Settanta. Questo suo nuovo ruolo lo ha costretto a trovare le parole necessarie, oltre che picchiare sulla batteria, per descrivere il suo mondo e il suo ritmo della vita.

le ORME

Io spacco il tempo...

Spesso mi chiedono cosa si provi a stare dietro i tamburi. Difficile rispondere in poche parole. Il primo sentimento è la felicità, poi c’è la soddisfazione di essere al timone della nave, infine il sentirsi completamente a proprio agio con la consapevolezza di essere nato per suonare questo meraviglioso strumento. Sicuramente si è in posizione privilegiata perché, come nella vita, si ascoltano gli altri per poi trovare il dialogo. In studio di registrazione, rispetto ai concerti, manca la tensione, l’immediatezza, l’istintività (in studio sei più rilassato, riflessivo, puoi ripetere le cose che non ti piacciono): è una sensazione incredibile e poi la cosa più importante è il pubblico, i tuoi fan.

Il musicista nasce sul palco, si forma sul palco e, possibilmente, muore sul palco. Il mio stile, più o meno, è rimasto quello che tutti conoscono. Mi sono raffinato, cerco di allenarmi e studiare tutti i giorni; credo ci sia sempre qualcosa da imparare. Da molto tempo ho abbassato tutto il mio set e oggi suono in modo più comodo e più agile, più rilassato. La mia batteria (Le Soprano) e le mie bacchette (Roll Mdr Signature) sono costruite su misura, i piatti scelti alla fabbrica UFIP, con molta attenzione. Lo studio della musica classica mi ha permesso di allargare gli orizzonti, di “spaccare” il tempo per elaborare i ritmi fuori dagli schemi.

In effetti, io sono un musicista che non rispetta le regole e mi piace esserlo, anche se a volte sono stato costretto ad accettarle, come le partecipazioni al Festival di Sanremo del 1982 (Marinai) e del 1987 (Dimmi che cos’è). Quel festival è solo business (una passerella che ti fa conoscere in pochi giorni da milioni di persone) e, visto che la musica è anche questo, nei momenti bui la casa discografica ti convince che non hai altra scelta... comunque, sono stati giorni a dir poco imbarazzanti. Essere progressivi, per me, è un tipo di filosofia musicale che trova le radici negli anni Settanta, ma che ora possiede lo stesso entusiasmo e passione. Essere progressivi oggi significa avere in sé tutto quello che manca alla musica trasmessa alla radio e spadroneggia nelle classifiche.

Michi dei Rossi

Ritorno al futuro

Ha senso portare avanti il progetto Le Orme, perché amo la libertà di espressione che mi fa vivere la musica progressiva... perché il marchio Orme non deve morire, perché la band attuale è fantastica, perché i fan ci aman, perché abbiamo ancora tante idee e un progetto da portare avanti, perché siamo diventati una grande famiglia, e di questi tempi, quasi senza valori, la famiglia è un gioiello da tenere in cassaforte... perché spero nel futuro, perché questo nuovo corso mi ha ringiovanito di venti anni e mi ha dato energia per almeno altri venti, perché, perché, perché!

La musica è la mia vita, ovviamente insieme agli affetti, alla famiglia, ma ricordo con piacere quasi tutti i musicisti con cui ho suonato nel corso del tempo. In particolare, molti dei gruppi in cui ho militato: Amici (1964/65), Hopopi (1965/66), Re Mida con Nino Smeraldi (solo prove, 1969). Ricordo i Van der Graaf Generator: eravamo a Londra nel 1973, quando Peter Hammill venne a trovarci (avevamo affittato un appartamento per la tournée inglese) e m’invitò ad andare in sala prove con i VdGG: fantastico, alla fine ci fu una corposa suonata. Da dicembre 1972, a VdGG sciolti, venne in tour con noi e scrisse anche i testi per l’edizione inglese di FELONA E SORONA.

Ho bei ricordi della Nuova Idea, dei Trip, degli Osage Tribe. Noi Orme e Giampiero Reverberi, il nostro produttore, avevamo organizzato le “Edizioni La Chiocciola” e gli Osage furono il primo gruppo sotto contratto. Eravamo amici con Banco del Mutuo Soccorso, Premiata Forneria Marconi, New Trolls, Osanna; qualche contatto con Genesis, Keith Emerson, Greenslade, Alan White e i Circa (super gruppo giro Yes con White alla batteria, Tony Kaye alle tastiere, Billy Sherwood al basso e alla voce, Jimmy Haun alla chitarra) nel 2008 al Baja Prog di Medicali.

le orme

Penso spesso ai tre giorni trascorsi al festival dell’isola di Wight. Partimmo col furgone da Venezia in cinque: io, Aldo, Tony, l’amico Renzo Di Francesco e Nino Smeraldi, che aveva abbandonato Le Orme qualche mese prima, litigando con Tony e Aldo, mentre io ero militare. Durante la naja, non avendo avuto nessuna richiesta di rientrare nel gruppo, andai a suonare con Nino per formare una nuova band con l’idea di andare verso un rock più libero e improvvisato: Re Mida. Poi, alcune settimane prima di partire per Wight, lo lasciai per rientrare con Le Orme. Mi ero sposato e avevo una figlia, con Le Orme potevo lavorare mentre con Re Mida non avevo nessuna prospettiva di guadagnare per vivere.

Inizialmente la situazione fu imbarazzante, ma la musica aggiustò tutto e passammo tre giorni bellissimi e che, soprattutto, servirono a dar vita al primo disco di musica prog in Italia, COLLAGE. Nel 1973 un importante manager italiano, di cui non voglio fare il nome, mi telefonò per formare un super gruppo con Franco Mussida e Flavio Premoli della PFM, Francesco Di Giacomo e Gianni Nocenzi del BMS, Elio D’Anna degli Osanna, Bob Callero degli Osage Tribe: ne parlai con il resto della band, ma la risposta fu un secco NO – pensate che disco e che tour potevano scaturirne! Una grande occasione perduta.

Questa, poi, è divertente. Eravamo al Progfest di Los Angeles nel 1997 e al momento del sound check i tecnici, che non ci conoscevano visivamente, ci snobbarono a tal punto che finsero di non capire (pur parlando in inglese) le nostre richieste sul palco. Quando iniziammo a suonare Collage, si guardarono e cominciarono a muovere la testa in segno di gradimento, avevano intuito che stavano suonando Le Orme, così da quel momento capirono tutto, perfino la nostra lingua, e il concerto fu un trionfo. Quando eseguimmo Gioco di bimba, ci accorgemmo che tutto il pubblico era in piedi, conosceva il testo in italiano e lo cantava assieme a noi. Fu la prima volta che Le Orme si esibirono negli USA e avvertii una forte emozione.

Perché non ho mai fatto un progetto solista o parallelo a Le Orme?

Ogni tanto me lo chiedo anch’io. Negli anni Settanta ero sempre impegnato con loro. Ho sempre avuto un po’ il ruolo di quel manager che è sempre mancato, tranne il periodo con Enrico Vesco. Oggi, se devo essere sincero, mi dispiace non aver potuto esprimermi da solista con un po’ di libertà in più. Le collaborazioni sono state pochissime e si possono contare sulle dita di una mano. La prima, molto bella, fu con Claudio Rocchi nel 1971. Lo conobbi per un’intervista con Le Orme a Per voi giovani, trasmissione radiofonica Rai che allora conduceva; diventammo amici e mi chiese se mi avrebbe fatto piacere suonare un brano nel suo nuovo album, che sarebbe diventato VOLO MAGICO N. 1. Io accettai di buon grado perché il suo suono era semplice ma affascinante, mi eccitava l’idea di suonare musica fuori dal mio stile: purtroppo quel brano non entrò nella scaletta del disco e, ripurtroppo, i nastri andarono persi.

Vennero gli anni Ottanta, guai grossi e il gruppo si sciolse. In quel periodo mi venne richiesto dal Gulliver Recording Studio di Treviso, etichetta Holly Records, di partecipare a un Lp di brani famosi arrangiati in chiave disco music; io ero a spasso e accettai, avevo bisogno di campare la famiglia, ma fu un’esperienza allucinante. Suonare la disco music su Gimme Some Loving dello Spencer Davis Group, Whole Lotta Love dei Led Zeppelin, Sunshine Of Your Love dei Cream, I Put A Spell On You di Screamin’ Jay Hawkins. Tredici brani inclusi nell’album STARS ON LP (1984), per il gruppo fantasma Clips.

Sempre nel 1984, la partecipazione a NELLA NOTTE di Aldo Tagliapietra. Stimolanti anche i concerti con la Tolo Marton Band (1985): suonare rock, blues e un po’ di jazz nei club fu una rivelazione, con Tolo mi trovai bene da subito, sembrava che avessimo suonato assieme da sempre. Da quell’esperienza nacquero tre brani, registrati al Dixie Saloon di Canneto Pavese (PV), inseriti in un Lp intitolato DIXIE IN ROCK, diviso con altri quattro gruppi.

Nell’estate fui contattato dal management di Marcella Bella per andare in tour e volevo rifiutare, pensavo di non essere in grado di suonare quelle semplici canzoni con il groove giusto, infine accettai perché mi dissero che ci sarebbero state delle date in Australia. Mi affidarono la direzione artistica e la responsabilità della band dal vivo.

Un momento molto divertente, perché riuscimmo a formare una specie di famiglia, dato che nella formazione c’erano gli amici Francesco Sartori alle tastiere, Luigi Podda al sax e voce, Riccardo Fioravanti al basso e Danilo Minotti alla chitarra. Marcella, allora molto famosa, fu brava e i concerti andarono benissimo. In generale fu un’esperienza positiva, ovviamente senza suonare in Australia, incontrai tanti appassionati delle Orme che mi chiesero cosa stessi a fare con Marcella!

Nel 2010 ho partecipato all’incisione di PEAK OF ETERNAL LIGHT dei Moonbound di Fabio Trentini, il bassista odierno delle Orme, dove suonavano anche Pat Mastelotto alla batteria (King Crimson), Markus Reuter alla touch guitar (Crimson ProjeKCt) e Dave Gregory alla chitarra (XTC). Meravigliosa l’esperienza con il Gruppo Percussione Ricerca (1979/81), gruppo di musica classica contemporanea di sole percussioni.

Fu un periodo fantastico, dove con il leader del gruppo, il maestro Eddy De Fanti (percussionista del teatro La Fenice di Venezia), imparai tutto quello che mi servì per registrare i due dischi del periodo romantico-acustico, FLORIAN e PICCOLA RAPSODIA DELL’APE. Sempre con lui, avevo già fatto i primi studi per tamburo nel 1974, suonavo delle partiture incredibili di autori fantastici quali Maurice Ohana, Miloslav Kabeláč, Terry Riley, Carlos Chávez e l’esperienza cambiò il mio modo di vedere il pentagramma, mi fece amare lo studio e la musica classica in maniera viscerale.

Questo articolo è tratto da «Classic Rock Speciale n.2» dedicato al Prog. Il numero è disponibile sul nostro store online.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

You May Also Like