Gli Uriah Heep e 14 album anni 70/80 (parte II)

Uriah Heep

In Italia gli Uriah Heep hanno sempre avuto notevoli consensi, sin dal primo tour di giugno 1971 quando tennero sei concerti in nove giorni, tornando ad agosto e a dicembre/gennaio 1972. Ripercorriamo parte della loro lunga storia attraverso 14 album (13 in studio e uno live), dal 1970 al 1980.

Testo: Giovanni Loria | Leggi anche la prima parte dell'articolo!

THE MAGICIAN’S BIRTHDAY, (Bronze, 1972)

Perfetti esempi di stakanovismo, Box e soci vengono forzati dall’ingordo Bron a pubblicare il loro quinto album in due anni e mezzo, tornando sul mercato dopo pochi mesi. Ricorda Kerslake di come “in quel periodo le idee fluissero in modo incredibile. Ken ci rendeva le cose più facili, presentandosi in studio con degli abbozzi di canzone, che poi arrangiavamo tutti assieme”.

In realtà il nuovo lavoro sembra pagare la fretta con il quale è stato concepito: un buon disco, certo, ma non esattamente all’altezza dei due predecessori. Sweet Lorraine, il nuovo singolo, non ha certamente l’appeal della provvidenziale Easy Livin, e i momenti più interessanti paiono rivelarsi nell’arco dei 10 minuti della title-track, durante i quali trova spazio persino un kazoo, suonato dal batterista.

Volevamo qualcosa che desse l’impressione di una lotta fra il bene e il male – è ancora Kerslake a dire la sua – per cui io e Mick improvvisammo una sezione per sole chitarra e batteria. Il suono della sua chitarra doveva impersonare lo stregone buono, in opposizione con il maligno enfatizzato dai miei interventi.

Destarono una certa curiosità i testi degli ultimi due album, imperniati su argomenti fantasy, ma Byron fu lesto, con pragmatismo tutto inglese, a smorzare gli entusiasmi in conferenza stampa: “State facendo troppe congetture inutili. In questi dischi abbiamo parlato di demoni, maghi e stregoni, ma non c’è alcun concept recondito: li avessimo intitolati ‘Volume 4’ e ‘Volume 5’ non ve ne sareste neppure accorti”. Certo non è con dichiarazioni come queste che si conquista la benevolenza della stampa, ma gli Heep non se ne crucciano troppo, dato che i dischi continuano a vendere bene.

The Magician's Birthday, Uriah Heep, Copertina di Roger Dean

LIVE, (Bronze, 1973)

Registrato durante il tour inglese di gennaio, nel giugno del 1973 il quintetto albionico pubblica il suo primo album dal vivo, originariamente edito nel formato in doppio vinile, e arricchito da un elegante portfolio di pagine centrali, raffiguranti foto king-size dei cinque musicisti. Con un geniale melange di sadismo e autoironia, nella busta interna viene riprodotta, assieme ad una serie di recensioni plaudenti, l’infausta (per l’autrice) critica di Melissa Mills, mentre fra i solchi scorrono alcuni tra i momenti più ispirati della loro già nutrita discografia.

Si noti come dal vivo Hensley, che nasce chitarrista, imbracci sovente la sei corde a supporto di Mick Box, mentre i caratteristici impasti vocali dei nostri vengono riproposti senza apparente fallo. Curiosa la scelta, nonostante una discografia ormai copiosa, di chiudere il set con Rock And Roll Medley, che nell’arco di nove minuti abbondanti saccheggia il repertorio di Elvis, Chuck Berry e altri eroi della prima ora.

Uriah Heep Live

SWEET FREEDOM, (Bronze, 1973)

Senza cullarsi sugli allori del recente LIVE, gli Heep ritornano prima che l’anno
abbia termine con una nuova collezione di brani, sempre prodotta da Gerry Bron, che verrà certificata disco d’oro pochi mesi più in là. Il disco si rivela un ritorno sugli standard più alti, a partire dall’eccellente Stealin’, che sembra partire con il freno a mano tirato per dare poi vita ad un emozionante crescendo, sia vocale che strumentale.

Non sorprende più come Hensley, che rimane il principale compositore, e compagni riescano ad alternare momenti soffusi, come l’emozionante Circus, in gran parte costruita su armonie di chitarra acustica, e tonanti frustate con l’iniziale Dreamer. Allo stesso modo si passa con spregiudicatezza dalla giocosa Seven Stars, dove Byron vocalizza l’intero alfabeto, ad autentiche perle intrise di misticismo progressivo, quali Sweet Freedom, If I Had The Time e soprattutto l’eroica Pilgrim. Dietro la lussuosa facciata, non tutto però fila liscio:

David era perennemente sbronzo e Ken cominciava ad averne abbastanza – rammenta il chitarrista – ma certo influiva anche una certa gelosia che Hensley provava per Byron, dato che non accettava di buon grado che il cantante catalizzasse gran parte delle attenzioni pubbliche.

Il tastierista si sfoga pubblicando più o meno in contemporanea un trascurabile album solista, PROUD WORDS ON A DUSTY SHELF.

Sweet Freedom Uriah Heep

WONDERWORLD, (Bronze, 1974)

Per sfuggire alla severa tassazione britannica, gli Uriah decidono di registrare in Germania, nei prestigiosi Musicland Studios di Monaco. È l’ultimo parto della formazione più amata dal pubblico, perché la stressante routine tour/album/tour sta per provocare un’altra vittima.

Nessuno di noi era uno stinco di santo, – è la versione di Kerslake – in quegli anni io bevevo due bottiglie di Southern Comfort ogni sera! Ma Gary Thain era quello che stava peggio, perché era un solitario, una persona fondamentalmente malinconica, un’anima fragile ed estremamente sensibile. Si faceva di eroina, e per sfuggire allo stress tendeva a iniettarsene sempre di più, mentre a noi magari i postumi della sbornia il giorno dopo bastavano a farci capire che con l’alcol non era il caso di andarci giù troppo pesante.

Come spesso accade, il prodotto che arriva al pubblico non è diretta conseguenza di una vita di eccessi e di rapporti sfilacciati: il disco infatti si rivela ancora una volta ottimo, consolidando la fama del gruppo presso gli appassionati del rock duro. So Tired o la minacciosa Suicidal Man sono molto dirette, rivelano che la nuova uscita è meno incline ad elementi progressivi rispetto alla precedente. The Shadows And The Wind è invece un affresco basato principalmente sulle voci dei musicisti che si rincorrono, creando un emozionante puzzle sonoro, stavolta davvero memore dei Beach Boys.

Non mancano episodi pomposi, come la canzone che dà il titolo all’album, e ritorna un omaggio al blues degli ormai lontani tempi a nome Spice (I Won’t Mind), mentre il brano più immaginifico, a partire dal titolo (Dreams) viene lasciato per ultimo, ripristinando sonorità meno immediate e di intensa suggestione.

Wonderworld Uriah Heep

RETURN TO FANTASY, (Bronze, 1975)

I nodi arrivano al pettine, e dopo essere passato da una terribile scossa elettrica sul palco patita in Texas, un conseguente penoso ricovero e una serie di dichiarazioni incrociate poco concilianti con il padre-padrone Bron, Thain viene allontanato. A sostituirlo viene chiamata un’autentica leggenda quale John Wetton, il cui curriculum ai tempi vantava già nomi prestigiosi quali Family, King Crimson e Roxy Music, per tacere degli oscuri ma seminali Mogul Thrash.

Thain rimane con la band fino a febbraio del 1975, e Wetton subentra quando le canzoni per il nuovo album sono già state scritte, per cui il suo contributo compositivo è ininfluente. Il suo ingresso viene comunque salutato con entusiasmo: per Mick Box “è davvero un sollievo poter contare su un musicista così serio e affidabile. È anche un ottimo cantante e ci ha già proposto un
mucchio di idee interessanti”.

Lo stesso nuovo arrivato sembra davvero felice della sua scelta: “Finalmente
sono entrato in una band nella quale tutti hanno diritto di esprimere la propria opinione, – saranno fischiate le orecchie a Robert Fripp? – inoltre non ero affatto
interessato al jazz e qui finalmente potrò divertirmi a suonare del buon vecchio rock’n’roll”.

Lontano dal poter essere definito un capolavoro, RETURN TO FANTASY è comunque un altro solido tassello di una discografia ormai prestigiosa; pur soffrendo degli inevitabili paragoni con gli album di maggior successo, regala un manipolo di buone canzoni, segnatamente l’efficace Shady Lady, la romantica Why Did You Go e l’onirica Devil’s Daughter, anche se il vero punto di forza risiede nel lancinante assolo di chitarra che Box sfodera sull’incalzante Beautiful Dream.

Hensley trova incredibilmente il tempo di pubblicare in sordina un secondo album in proprio (EAGER TO PLEASE), mentre il 1975 si chiude con una notizia terribile ma probabilmente non inattesa: la morte di Thain, ad appena 27 anni e, ovviamente, a causa di una overdose di eroina.

Return to fantasy Uriah Heep

Questo articolo è tratto da «Prog» n.36, disponibile in tutte le edicole e sul nostro store online.

prog 36
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