“Scusami, Jimi, non ce l’ho fatta”: Billy Gibbons racconta HARDWARE

BIlly Gibbons by Blain Clausen
BIlly Gibbons by Blain Clausen

In piena pandemia, il batterista Matt Sorum ha chiamato Billy Gibbons e gli ha detto che stava impazzendo senza fare nulla e soprattutto che aveva scoperto uno studio che voleva mostrargli. Erano gli Escape Studio, si trovavano nei dintorni di Palm Springs, in pieno deserto californiano, e ci sarebbe voluta un’oretta per dargli un’occhiata.

Cosa è successo?

Siamo entrati senza uno strumento, avevo solo un blocco di carta e una penna per gli appunti. Quell’oretta sono diventati tre mesi! Un lavoro nato ogni mattina, una jam continua. Il primo pezzo che abbiamo scritto è West Coast Junkie: arrivando allo studio ci siamo guardati attorno e in un angolo ho trovato questa vecchia Fender Reverb Unit. Mi hanno detto che non funzionava. L’ho provata e cavolo se funzionava, aveva quel feeling dei primi anni 60. Il mio amico Jimi Hendrix diceva che non avremmo mai più dovuto ascoltare surf music. Scusami, Jimi, non ce l’ho fatta.

Parlami di Hey Baby Que Paso, uno dei brani più folli del disco.

La prima volta che l’ho sentita me ne sono innamorato. Ero con l’autore, il tastierista del Sir Douglas Quintet e poi dei Texas Tornados, Augie Meyers. Oggi ti parlo da San Antonio, Texas, che gli ha dato un Lifetime Achievement Award. Gli ho detto che avevamo un problema con la seconda strofa, perché non si capivano le parole. E lui mi ha risposto così: “Per forza, volevamo cantare in spagnolo ma nessuno di noi lo parlava, così le ho inventate! Fallo anche tu”.

Billy Gibbons by Blain Clausen
Billy Gibbons by Blain Clausen

E la macchina sulla copertina?

È un omaggio a Joe Hardy, nostro tecnico del suono per quarant’anni. Parliamo di lui tutti i giorni, è come se fosse sempre con noi. Nel disco c’è una nostra foto del 1982, quando abbiamo iniziato a lavorare assieme. C’è anche un altro omaggio: Desert High, per Gram Parsons. Ero un fan della sua musica. Un giorno, nei primi anni 70, sono andato al club dove doveva suonare e davanti al club c’era un tour bus, molto vecchio, degli anni 40, con una scritta sulla fiancata: Look out, look out, here comes Gram Parsons, che mi ricordava il primo tour bus di BB King, così mi sono messo a parlare del bus con questo tizio fuori dal club. Siamo rimasti lì una mezz’ora, poi lui mi dice che deve andare a riscaldarsi per il concerto. Allora gli ho chiesto: “Ah, suoni con la Gram Parsons Band?”. E lui: “No, io sono Gram Parsons”.

E l’ospitata delle Larkin Poe?

Ho conosciuto Rebecca e Megan Lovell in tour con gli ZZ Top: erano così incredibilmente brave! Con loro abbiamo fatto tre pezzi e ne faremo ancora.

Quanto ti manca la tua vita da vagabondo?

Stare a casa va bene, ma c’è un sacco di lavoro da fare. Quando siamo in tour, altri guidano e cucinano per te, e tu devi solo preoccuparti di suonare. Stare a casa è molto più faticoso.

Billy Gibbons, HARDWARE

HARDWARE

Terzo album solista per il barbuto chitarrista degli ZZ Top, che ripropone la collaborazione con Matt Sorum e Austin Hanks con la quale aveva già dato vita all’ottimo THE BIG BAD BLUES. Prodotto con Mike Fiorentino con il contributo del tecnico del suono Chad Shlosser, HARDWARE è un’alternanza di rock, tanto blues e persino surfWest Coast Junkie non starebbe affatto male in un film di Tarantino, al quale forse hanno pensato realizzando il simpatico video (a me ricorda il telefilm Misfits). Shuffle, Step & Slide è un titolo che racchiude l’essenza del bluesman: lo shuffle è il marchio di fabbrica del blues, che Billy adora suonare in slide, e i due elementi, se ben combinati, assicurano una bella serata di quelle in cui il pubblico impazzisce e inizia a ballare.

Spazio anche per la cover di Hey Baby, Que Paso dei Texas Tornados e per l’ospitata, in una Stackin’ Bones carica e a tratti be-bop, delle Larkin Poe delle sorelle Megan e Rebecca Lovell (moglie del chitarrista blues Tyler Bryant), delle quali Billy è un sincero ammiratore sin dal concerto benefico Love Rocks NYC nel 2019. Molto coinvolgente la ballata Vagabond Man, una delle ultime composte, nata dalla riflessione sui cinquant’anni passati on the road e di come a volte possa essere solitario viaggiare da una città all’altra ogni sera, vivendo come un homeless; uno dei momenti di maggior poesia assieme alla spoken word di Desert High: dedicata alla memoria di Gram Parsons, scomparso nel 1973 a Joshua Tree, vicino al luogo in cui l’album è stato inciso. Un lavoro che ci terrà compagnia mentre aspettiamo il nuovo album degli ZZ Top, in via di scrittura.

Questa intervista è tratta da «Classic Rock» n.103, disponibile in tutte le edicole e sul nostro store online!

Classic Rock Italia 103 Sprea Editori
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