Era il 1986 ed MTV era il mezzo prediletto dagli appassionati per godere delle ultime release dei loro artisti preferiti. Un marasma fruttuoso quanto intrigante, dal punto di vista marketing, che gli artisti avrebbero, teoricamente, sfruttato promuovendo le loro canzoni grazie a videoclip dall'elevatissimo budget. In parte andò così, ma le rockstar, si sa, non erano solite (salvo eccezioni) curare troppo determinati aspetti della loro professione. Ne furono un esempio i Journey che, con Steve Perry, girarono numerosi videoclip, per poi relegare la promozione del proprio materiale "al mistero e alla fantasia della radio", come il cantante stesso spiegò.
Non era un concept album, ma l'idea dietro RAISED ON RADIO era quella di basare ogni brano su importanti momenti e dichiarazioni d'amore al medium. La title track del disco ricorda con nostalgia i momenti trascorsi sintonizzandosi sulle stazioni dedicate, scoprendo le prime canzoni che hanno fato la storia del rock come Maybellene di Chuck Berry o Peggy Sue di Buddy Holly. Intervistato da Rockline, il tastierista Jonathan Cain avvalorò le opinioni della band spiegando di aver voluto lasciare agli ascoltatori carta bianca sugli scenari in cui avrebbero voluto immergersi ascoltando le canzoni, invece di condizionarli attraverso la visione di un regista delle proprie tracce.
Non era un segreto per i fan più devoti alla band, l'avversione di Steve Perry nei confronti dei vidoclip promozionali. Durante le riprese del video di Oh Sherrie, infatti, l'artista fermò le macchine diverse volte, lamentandosi per il contenuto dei filmati. I membri dei Journey definivano, l'ascolto come la composizione di un brano, qualcosa di molto personale, in cui l'immaginazione avrebbe dovuto avere campo libero al fine di regalare un'emozione totale all'ascoltatore. Alla fine, nel 1996, però, i Journey cambiarono rotta ancora una volta e, per TRIAL BY FIRE, decisero di rilasciare qualche video, pur rimanendo su bassi budget e concept semplici.
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