Di solito, quando si parla di “classici del rock”, ci si riferisce a Lp usciti negli anni 60 e 70, talvolta negli 80, più di rado nei 90. In occasione delle varie poll lanciate da radio e riviste sui “migliori dischi di tutti i tempi”, le posizioni alte vanno puntualmente a loro. Soltanto a loro.
C’è chi sostiene che si tratta di un’ovvietà, perché da quando domina Internet è cambiato tutto, e il concetto di “disco” come lo si è inteso per decenni si è svalutato. Ma è davvero così?
Qui un estratto della lista completa sul nuovo numero di Classic Rock Italia, DA OGGI in tutte le edicole e online!
1. Muse
Origin Of Symmetry
MUSHROOM, 2001
Con questa muscolare seconda prova dopo SHOWBIZ, i Muse mostrano spavaldamente alcuni fatti incontestabili: 1, se non del tutto reciso, il cordone ombelicale con i Radiohead si avvia a scomparire; 2, hanno obiettivi chiari e non mancano di coraggio; e 3, oggettivamente – ovvero a prescindere dai gusti personali – Bellamy è un autore di qualità. LA
2.Tame Impala
Lonerism
MODULAR, 2012
Poco prima di diventare quasi solitaria forza motrice della principale fra le sue tante bizzarre creature, il poliedrico musicista e produttore australiano Kevin Parker realizza probabilmente il miglior album a nome Tame Impala. Se l’esordio, INNERSPEAKER, aveva già colpito gli amanti di quelle sonorità psichedeliche che si rifanno agli anni 60 e 70, LONERISM allarga gli orizzonti attraverso l’introduzione di elementi elettronici e l’accentuarsi di certe coloriture psych- pop. TM
3. The Strokes
Is This It
RCA, 2001
Si prendono la scena con l’esordio questi cinque ragazzi ventenni che, a inizio millennio, riportano all’attenzione di critica e pubblico lo spirito rock essenziale e punkeggiante di New York. Non si può parlare di rivoluzione né di miracolo, Iggy Pop e i Blondie girano in tondo nelle undici tracce, ma mentre altrove si lavora di fumo e produzione (nu metal, rap), The Strokes suonano semplici, con chitarre lineari e ruvide e con la voce di Julian Casablancas, corrotta dal vizietto dell’alcool, ma mai indegna in concerto. GDC
4. System Of A Down
Toxicity
AMERICAN, 2001
Il disco simbolo di una generazione. Il gruppo di origine ar- mena decide di non accodarsi alla miriade di formazioni nu metal di fine anni 90 (Korn, Limp Bizkit, Deftones), integrando i riff estremi e le melodie trascinanti del debutto con un approccio più rock ed elementi presi in prestito dalla world music. Un crossover puro che si accompagna a una furia live senza precedenti e riscrive la storia dell’alternative metal con una compattezza e una fluidità da capogiro. LB
5. Amy Winehouse
Back to Black
ISLAND, 2006
Tralasciando il facile moralismo, bisogna accettare che questo è il caso in cui arte e vita si fondono in un groviglio di consonanze e contraddizioni tali da produrre un gioiello di rara bellezza e da rendere la figura della Winehouse un’icona senza tempo. Lei scrive di dipendenze, emotive e fisiche, barcolla su tacchi troppo alti che reggono gambe troppo magre, si taglia le braccia marchiate dai tatuaggi e lascia colare il mascara sulle guance, come una pin-up ritratta dalla penna folle di Kenneth Anger. BT
7. Queens of the Stone Age
Songs For The Deaf
INTERSCOPE, 2002
Il “sordo” del titolo beffardo è il pubblico che passivamente si accontenta della musica di facile ascolto che gli viene propinata dalle radio mainstream. E a ribadire il concetto ci pensano gli esilaranti interventi di alcuni improvvisati speaker di inesistenti emittenti che qua e là spuntano nel disco: un viaggio in auto da Los Angeles al deserto, con lo stereo immortalato nel booklet in balia di varie stazioni. MG
8. The White Stripes
Elephant
THIRD MAN, 2003
Se il terzo album WHITE BLOOD CELLS, AD 2001, ebbe il merito di allargare la notorietà fino ad allora solo di nicchia di Jack e Meg White, a rendere il duo di Detroit un fenomeno su scala internazionale fu il successivo ELEPHANT. Complice il singolo Seven Nation Army, quello che in parecchi conoscono semplicemente come “la canzone del po-popopopopo-po-po”, il disco toccò il n. 6 USA e il n. 1 UK, vendendo alcuni milioni di copie e rendendo di massa un sound qui appena levigato rispetto ai precedenti lavori ma tutt’altro che propenso a rinnegare la sua discendenza dal r’n’r “primitivo” di scuola lo-fi. FG
9. Fleet Foxes
Fleet Foxes
SUB POP, 2008
Il coro a cappella che apre l’album di debutto dei Fleet Foxes evoca epoche e continenti diversi: la musica a cavallo tra gli anni 60 e 70 e l’indie dei 2000, Crosby, Stills & Nash e i Fairport Convention, i Beach Boys e gli Steeleye Span. La band di Seattle capitanata da Robin Pecknold (autore di tutti i pezzi) rappresenta nel nuovo millennio l’avanguardia di una generazione di giovani artisti americani che riscoprono il folk e la musica acustica. AM
10. Coldplay
Parachutes
PARLOPHONE, 2000
Gli Evanescence arrivano alla registrazione di FALLEN, considerato il loro vero album di debutto, dopo un turbolento periodo di cambi di formazione. Due brani, la ballata My Immortal (uno dei primissimi brani della band, composto al liceo) e Bring Me To Life, duetto con Paul McCoy dei 12 Stones destinato a diventare un superclassico della band, vengono inseriti nella colonna sonora del film Daredevil, uscita poche settimane prima dell’album. LF