E cosa c’entra Beyoncé su «Classic Rock»?

Nella primavera del 1994 Cleve Francis, un artista nero appena messo sotto contratto dalla Liberty Records di Nashville, si presentò negli uffici della Country Music Foundation sbandierando i risultati di un recente sondaggio effettuato presso le principali emittenti radiofoniche statunitensi: il 24% dell’audience nera adulta ascoltava abitualmente musica country. Per molti versi clamoroso, il dato fece sobbalzare i vertici della prestigiosa istituzione e gettò le basi di un progetto discografico teso a mettere in luce e documentare il solido rapporto da sempre esistente fra country e pubblico nero.

Quattro anni dopo, nel 1998, la Warner Bros. Records pubblicò FROM WHERE I STAND, uno splendido cofanetto di 3 Cd che in 60 brani incisi tra il 1927 e il 1995 raccontava “the black experience in country music”. Fra gli artisti rappresentati in quei 3 Cd c’erano il mitico Leadbelly, Wynonie Harris, The Orioles, Ray Charles, Bobby Hebb, Solomon Burke, The Staple Singers, Joe Tex, Al Green, Fats Domino, Professor Longhair, Linda Martell (la prima cantante nera a esibirsi nel tempio del country, il Grand Ole Opry) e, naturalmente, la punta di diamante del country nero, quel Charley Pride che, zitto zitto, tra il 1966 e il 1986 inanellò ben 29 primi posti nella classifica dei singoli e vinse tre Grammy Awards. Non è dunque notizia d’oggi che i neri amino la musica country. Ma evidentemente la pancia molle e ignorante d’America queste cose non le sa, o forse finge di non saperle. Tanto che sta alzando le barricate non appena ha scoperto che la superstar Beyoncé ha osato “fare un disco country”.

Ma cosa c’entra Beyoncé col country? Cantasse la sua musica, quella dei neri, invece di profanare la musica bianca per eccellenza, questo un po’ il succo della questione. E cosa c’entra Beyoncé su «Classic Rock»?, farà eco qualcuno di voi leggendo questo editoriale. Be’, c’entra eccome. Perché quello che il rock oggi non ha più la forza di fare, e cioè prendere di petto una grande questione come il razzismo (anche quello semplicemente culturale) e rimetterla con forza al centro delle discussioni della gente comune, lo sta facendo un personaggio pop al quale fino a qualche tempo fa noi stessi non avremmo dato due soldi di attenzione. Quello che sta facendo Beyoncé con COWBOY CARTER è, né più né meno, un gesto radicale e rock, simbolico e al tempo stesso politico, di una potenza inaudita. E poi, detto fra noi, questo disco che sta restituendo un pezzo di cultura americana a una grande porzione di umanità è anche un disco  formidabile. Vi consiglio di ascoltarlo, magari fra un Metallica e un Pink Floyd. Avrete fatto qualcosa di veramente rock.

- Maurizio Becker

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