Con il bizzarro titolo del loro nuovo album, =1, i Deep Purple intendono sottolineare che, in un mondo sempre più complesso, tutto alla fine si riduce, fino a diventare un’unica essenza. Nel semplice assioma che tutto è uguale a uno. Abbiamo deciso di partire proprio da questo concetto, nella nostra bella chiacchierata con Ian Gillan.
Come nasce, allora, questo titolo?
L’estate scorsa stavo scrivendo le parole e le melodie per le nuove canzoni. Ne avevo completate circa otto, ma non ne ero soddisfatto, perché dentro c’era un po’ di tutto e mancavano di coesione. Cominciai a sentirmi perduto una mattina, mentre mi stavo occupando di un sacco di quelle sciocchezze burocratiche che chiunque si trova a dover affrontare ogni giorno online: vorresti solo riparare il rubinetto che perde e cerchi di venirne a capo, ma il processo è così complicato! Se vuoi entrare in un negozio a dare un’occhiata, devi premere questo pulsante, fare questo e fare quello, e così alla fine tutto diverge dalle intenzioni originali. Allora ho scritto un’equazione molto complicata ma ridicolmente inutile, ossia che tutto è uguale a uno. Ho trascritto la formula su un foglio che ho attaccato al muro come promemoria, quindi ho strappato le pagine con tutti i vecchi testi e ho ricominciato da zero partendo proprio da questa equazione come punto focale. Ritenevo importante mantenere tutto più semplice, e così ho finito di scrivere tutte le canzoni in due settimane ed è stato fantastico, come dovrebbe essere sempre. Quella equazione, per me, è stata un aiuto per la scrittura, ma in un certo senso mi ha accompagnato anche quando le canzoni sono state completate e le abbiamo presentate al dipartimento artistico dell’etichetta: era presente tutta la crew e hanno tutti apprezzato, così l’idea è stata accettata e portata avanti. Il che ci dice molto su ciò che è questo disco: pieno di performance strumentali fantastiche, certo, ma la verità è che mai come oggi troviamo noi stessi nella coesione e nella semplicità.
Di norma, la musica dei Purple nasce improvvisando tutti insieme in una stanza.
È stato così anche questa volta?
Sì, come sempre. Abbiamo avuto due sessioni di scrittura, ciascuna delle quali penso sia durata circa una settimana. Iniziavamo a lavorare tutti i giorni a mezzogiorno e ci mettevamo a scrivere per sei ore. Poi andavamo a bere o mangiare qualcosa e a sbrigare varie faccende, per poi riprendere il giorno dopo. Noi partiamo sempre con una jam: un ritmo, un groove o qualcosa del genere su cui i ragazzi semplicemente si mettono a lavorare in tondo per una mezz’ora, prima di passare a qualcos’altro. In questo modo, un minuto ti sembra di ascoltare un’orchestra, il minuto dopo un gruppo jazz o una big band, fin quando, all’improvviso, ecco venir fuori un vero gruppo rock and roll. Voglio dire, ogni cosa è diversa: le influenze dei musicisti e l’alchimia della band sono importanti, e costruire partendo da quegli elementi è emozionante ogni volta…