MOTORHEAD: dalla follia alla leggenda

Motorhead
Quando a metà degli anni 70 Lemmy uscì di prigione per formare i Motörhead, nessuno gli diede credito – nemmeno la loro casa discografica.

I Motorhead sono diventati leggenda fregandosene delle regole...

Lemmy si accese un’altra sigaretta, mi soffiò il fumo in faccia e disse: “La vita ha un modo tutto suo di rivoltarti le cose. Io volevo solo fare la versione inglese degli MC5, tutto qui”, bofonchiò scrollando le spalle, e riferendosi alla leggenda del punk metal USA. “Se avessi potuto entrare negli MC5, l’avrei fatto. Ma loro stavano a Detroit, così misi assieme la mia versione e la chiamai Motörhead. Solo che all’inizio non avevamo questo nome. E pensavo a un quintetto – non eravamo nemmeno quello. La sola cosa che andò come volevo fu la musica: la volevo veloce e furiosa come quella degli MC5”.

In effetti, se Lemmy avesse potuto fare davvero a modo suo, probabilmente non avrebbe formato nessun gruppo. Tanto per restare fedeli alla fama dei Motörhead di essere uno dei gruppi più ... diciamo... – imbranati di tutti i tempi, la loro storia in effetti inizia con una fine. Esattamente, inizia con il licenziamento di Lemmy nel 1975 da parte del suo gruppo precedente, gli Hawkwind. E come mi disse in quell’occasione: “Se non mi avessero licenziato, non avrei mai mollato gli Hawkwind”.

Se, ma, forse… La lunga carriera di Lemmy e dei Motörhead è stata piena di episodi del genere. Sempre oltre, sempre a correre rischi, contro le regole… ecco perché li abbiamo amati ed ecco anche perché il mercato musicale ha sempre avuto qualche problema a relazionarsi con loro. Molto semplicemente, Lemmy se n’è sempre sbattuto, delle regole. Nemmeno quando era uno scolaretto, figlio di un pastore. Dopo tutto, lui è quello che fu buttato fuori dagli Hawkwind – gli inventori dello space rock – per essersi fatto, come dice lui, “la roba sbagliata”.

Lemmy: verso "la vita del fottuto artista" e verso i Motörhead

Lemmy era nato come Ian Fraser Kilmister a Smoke-on-Trent la vigilia di Natale del 1945, e visse la sua infanzia tra le colline dello Shropshire. Suo padre era un ministro del culto in forza nella RAF, una persona che in seguito Lemmy avrebbe descritto come “uno stronzo con gli occhiali e la pelata” e che abbandonò la sua famiglia quando il figlio aveva appena tre mesi. Lemmy – soprannome affibbiatogli ai tempi degli Hawkwind quando aveva l’abitudine di dire a tutti quelli che incontrava “Lemme a fiver” [prestami cinque sterline, ndr] – aveva solo quattro anni quando il dentista decise di togliergli 10 denti senza anestesia. Non era molto più grande quando arrivò alla decisione che preferiva stare da solo piuttosto che con i ragazzi più grandi a scuola. Alla fine, fu espulso per “aver preso il bastone al preside e con quello averlo colpito alla testa”.

Per un po’ lavorò in una stalla (“I cavalli mi piacevano un sacco”) e in una fabbrica a Hotpoint. Ma poi “ascoltai Little Richards, e fu la fine”. Diceva di aver capito di voler suonare la chitarra “la prima volta che vidi Oh Boy (la versione anni 50 su ITV di Top of the Pops) e tutte quelle fighette che strillavano”. Il primo disco che Lemmy ricorda di aver comprato da ragazzo era Knee Deep In The Blues di Tommy Steele. Con l’aiuto del manuale di chitarra di Bert Weedon Play In A Day e la vecchia chitarra hawaiana di sua madre, imparò a suonare “abbastanza bene da imitare Ricky Nelson”.

Nel 1963, appena 17enne Lemmy decise di “conquistare la metropoli” e andò in autostop fino a Manchester, dove rimediò un lavoro come chitarrista nei Rocking Vicar e per i due anni successivi “feci la vita del fottuto artista”. Parte cover band e parte gruppo di cabaret, i Vicarerano uno di quei gruppi di cui a sud nessuno aveva sentito parlare ma che a nord erano forti. Avevamo tutti le macchine. Io avevo una Ford Zephyr 6 che all’epoca era uno schianto”.

L'articolo completo, a cura di Mick Wall, è su Classic Rock n.58, disponibile qui.

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