DIRE STRAITS: l’arte di suonare sottovoce e conquistare il mondo

C’è stato un tempo in cui per dominare le classifiche non servivano beat pompati né urla isteriche. Bastava una chitarra Fender, una voce roca e una manciata di canzoni raccontate come si chiacchiera al pub. Quel tempo aveva un nome: DIRE STRAITS.

1977, Londra: Mark Knopfler, suo fratello David, John Illsley e Pick Withers si mettono insieme quasi per disperazione, con pochi soldi e meno pretese. Eppure, quando incrociano strumenti e storie, succede la magia: nasce un sound pulito, ipnotico, capace di incantare senza bisogno di gridare.

Il primo album, Dire Straits (1978), arriva come un colpo di fucile sparato nel silenzio: secco, elegante, indelebile. Dentro c'è Sultans of Swing, ovvero come trasformare un pezzo su una sfigata band da pub in uno degli inni immortali del rock.

I Dire Straits non erano moda, non erano glamour. Erano veri.
Mentre il mondo rincorreva il punk, loro si presentavano in camicia spiegazzata, suonando ballate da camionisti malinconici e sognatori in giacca lisa. E la gente li adorava proprio per questo: per quella strana miscela di umiltà e grandezza.

Con Brothers in Arms (1985), mettono tutti in fila: oltre 30 milioni di copie vendute, una rivoluzione anche su MTV grazie al video animato di Money for Nothing (spoiler: il riff iniziale è ancora tra i più apprezzati di sempre).

Nel 1995, Knopfler dice basta: "Meglio chiudere prima di diventare una cover band di noi stessi."
Fine dei giochi, ma inizio del mito: perché ogni volta che parte Romeo and Juliet o Walk of Life in una radio sperduta o in un juke-box polveroso, i Dire Straits tornano in vita. Più vivi che mai.

 

E tu?
Qual è il pezzo dei Dire Straits che ti fa venire voglia di mollare tutto e salire su un furgone sgangherato per inseguire la vita vera?
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