Nella primavera del 1974, l’album d’esordio di Mike Oldfield, Tubular Bells, stava – con sorpresa di molti, incluso lo stesso Oldfield – conquistando il mondo.
Appena ventunenne, il musicista fu spinto dalla sua etichetta Virgin (che aveva debuttato proprio con Bells), a scrivere e registrare un secondo album in tempi rapidissimi.
Non era certo il tipo da “rock star appariscente” e, soggetto a frequenti attacchi di panico, Oldfield si ritirò al confine tra Inghilterra e Galles, all’ombra della collina di Hergest Ridge.
Alla fine, il suo inconscio si riaccese, permettendogli di dar vita a un’altra opera in due movimenti: un nuovo tour de force.
Hergest Ridge fu accolto con una certa freddezza o, nella migliore delle ipotesi, con un’alzata di spalle. E anche se raggiunse il primo posto nelle classifiche del Regno Unito, venne rapidamente oscurato dal suo predecessore, più imponente e totalizzante.
Eppure, mezzo secolo dopo, questo secondo album “difficile” appare più solido del suo ormai arcinoto fratello maggiore. Per caso o per scelta, Hergest Ridge è ciò che Transformer è stato dopo Lou Reed. È Il Padrino – Parte II. Forse persino Paddington 2.
Articolo originale di Chris Roberts tratto da Louder: https://www.loudersound.com/music/albums/mike-oldfield-hergest-ridge-50th-anniversary