Se in Italia c’è un Grande Vecchio della canzone d’autore, al di là dei dati anagrafici, possiamo certamente individuarlo in Francesco Guccini.
Sin dall’inizio degli anni ’60 anche da noi si cominciavano a sentire i primi testi impegnati: non solo canzonette d’amore, ma riflessioni sulla condizione giovanile e motivazioni filosofiche o sociali, sulla scia delle musiche e degli artisti americani o inglesi che la nostra generazione stava scoprendo. Stava nascendo un’importante nidiata di cantautori e fu proprio in quella stagione che Francesco Guccini iniziò a farsi conoscere, sia come autore di canzoni per i Nomadi, per l’Equipe 84 e per altri suoi colleghi, sia in proprio, cantando e suonando lui stesso le sue storie. E «Ciao 2001», oltre ad occuparsi dei big del rock, si accorse della novità rappresentata dai suoi dischi e all’inizio degli anni ’70 iniziò a dare spazio a Guccini, proprio come faceva con Bob Dylan e i più celebri folksinger di quel periodo.
In questo speciale abbiamo deciso di ripercorrere il suo periodo più fecondo e “classico”, partendo dai suoi primi dischi e dal racconto dei suoi concerti, ripescando dai nostri vecchi «Ciao» tanti articoli a lui dedicati.
Articoli a volte anche critici, come leggerete, che presentavano al pubblico italiano una figura diversa, inusuale, a volte controversa, ma indubbiamente gigantesca e culturalmente molto significativa. Ci aiutano in questo viaggio anche i nostri ricordi personali, che aggiungono particolari preziosi alle ben note biografie ufficiali: chi l’avrebbe mai detto, per esempio, che ai suoi esordi questo padre nobile del cantautorato impegnato non solo scriveva canzoni rock’n’roll ma accompagnava alla chitarra personaggi come Nunzio Gallo e Claudio Villa, o frequentava, prima da giornalista e poi da musicista, addirittura Domenico Modugno?

Per molti e per molti anni, Francesco è stato il simbolo della canzone rivoluzionaria della Sinistra post-sessantottina italiana. Ma a chi glielo chiedeva apertamente, lui ha sempre risposto di non riconoscersi in nessuno schema. Sì, lui ha sempre amato cantare di sociale, d’ingiustizia, di pacifismo e del suo tempo, ma lo ha fatto senza mai aggregarsi a schieramenti o organizzazioni ufficiali, bensì da Anarchico – e anche qui, lo ha fatto in assoluta autonomia, senza sentirsi legato a nessun movimento anarchico ufficiale.
Nel corso delle sue prime esibizioni, agli inizi degli anni ’60, Francesco Guccini era già noto più come artista di cabaret che non come cantautore. Fu così, infatti, che durante le prime frequentazioni del mondo musicale milanese fu presentato a Renato Marengo da alcuni amici tutt’altro che di Sinistra che erano suoi fan sfegatati. La parola, e quel suo modo di suonare con quella ripetitività da ballata tipica della musica folk, ci autorizzano a considerarlo l’inventore di un vero e proprio genere che tanto ha influenzato poi i nostri cantautori e gruppi più popolari, da De André a De Gregori, passando per Claudio Lolli, i Nomadi, l’Equipe 84 e in parte gli stessi Lucio Dalla e Roberto Vecchioni.
Amante del vino, capace di berne un intero fiasco e poi di cantare per due, tre ore di fila sul palco senza mai perdere di lucidità, Guccini è stato anche un fantasioso autore di fumetti, facendo coppia con uno dei nostri più geniali fumettisti, l’indimenticabile Bonvi.
Quando «Ciao 2001» scoprì Guccini, i suoi lettori se ne innamorarono subito: qualche giornalista lo amava di più, qualcuno meno, ma lui, sempre sanguigno e determinato, non esitava a rispondere alle critiche “per le rime”, cioè facendo nomi e cognomi nelle sue canzoni. Ed era sempre pronto a schierarsi con i più deboli, come testimonia un suo celebre intervento documentato in un articolo dedicato dal «Ciao» alla prima edizione del Tenco, quando si espose in prima persona in difesa di un gruppo di giovanissimi contestatori che rischiavano l’arresto.
Accanto a tutto ciò, Francesco Guccini è stato soprattutto un grande maestro di vita: “Ma io non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia”. Ecco, questa frase presa da una sua famosissima canzone lo descrive alla perfezione, meglio di tante parole. Ecco perché per noi dedicargli uno speciale è stato quasi un dovere, oltre che una scelta convinta.