TOM PETTY voleva fare la Rockstar

Tom Petty voleva essere una star del rock’n’roll: da Gainesville all’incontro con Dave Stewart e Bob Dylan.

Nella notte del 2 ottobre, il leggendario e iconico rocker Tom Petty si è spento in un letto d'ospedale in seguito ad un attacco cardiaco. In questo articolo, uscito sul numero 58 di Classic Rock Italia, abbiamo ripercorso la carriera di Petty, dai primi passi, fino all'incontro coi suoi idoli di gioventù...

Thomas Earl Petty nasce a Gainesville, in Florida, dove spira forte il vento del southern rock di casa negli Stati più a nord come l’Alabama e la Georgia. Si avvicina alla musica con pochi ma precisi riferimenti musicali: Bob Dylan, i Byrds, Chuck Berry e i Rolling Stones. Di Gainesville, che ha dato i natali a Stephen Stills, sono anche i fratelli Bernie e Tom Leadon. Il primo entra nella formazione originale degli Eagles (dove più tardi arriverà anche il concittadino Don Felder); Tom, il secondogenito di casa Leadon (che per gli Eagles, in un memorabile gioco di incastri che lega sullo stesso set i tanti attori che stiamo per incontrare, comporrà Hollywood Waltz, destinata a ONE OF THESE NIGHTS) è amico quasi d’infanzia di Petty.

Ai due si aggiungono, fratelli di tante scorribande, l’altro chitarrista Mike Campbell e il batterista Randall Marsh. I Mudcrutch, questo il nome della band, perderanno a un certo punto Leadon e oltre al secondo cantante Danny Roberts entrerà il tastierista Benmont Tench. Petty suona ancora il basso, canta e compone. Ci vuole poco, scorrendo i nomi, a capire che Tom Petty & the Heartbreakers sono già lì. Infatti, dopo un singolo realizzato per la Shelter (Depot Street / Wild Eyes) e con Petty già finito sotto l’ala protettrice di Danny Cordell e del popolare musicista Leon Russell, a Petty, Campbell e Tench si uniscono il batterista Stan Lynch e il bassista Ron Blair. La squadra è pronta. C’è da fare una strada lunga quarant’anni.

Un celebre scatto di Red Slater di Tom Petty (centro) con i Mudcrutch. Florida, 1970.

 Tom Petty & the Heartbreakers: c'è da fare una strada che sarà lunga quarant'anni

A rappresentare questa neonata band destinata a coprirsi di gloria nel corso degli anni ci sono un bel logo (una Gibson Firebird che trafigge un cuore) e lo sguardo fiero di un Petty giovane, che dalla copertina promette scintille. Giacca di pelle ed espressione decisa si prestano a un equivoco. Sono anni confusi, dall’altra parte dell’Oceano sta esplodendo il punk, alcune campagne pubblicitarie tendono a fare di tutta un’erba un fascio e Petty, che ha sangue Cherokee nelle vene e il suono delle chitarre Rickenbacker di Roger McGuinn che gli ronza da anni nella testa, finisce da subito in pasto a un marketing approssimativo che lo accosta al punk in alcune promozioni europee. L’errore durerà poco, sarà la musica a smentire gli approssimativi. Ogni dubbio scompare, infatti, quando gira sul piatto TOM PETTY AND THE HEARTBREAKERS (1976) con le sue dieci canzoni di ruvido rock’n’roll. Scorbutico sì, come Rockin’ Around (With You), anche poco rassicurante nei testi e nelle sonorità (Strangered In The Night) ma non punk, anzi dalle radici chiare. In American Girl ci sono una ritmica alla Bo Diddley e i Byrds con un vestito new wave (McGuinn inciderà la canzone qualche tempo dopo), Hometown Blues è un country che farebbe incazzare Nashville eppure Rosanne, la figlia di Johnny Cash, più avanti lo registrerà.

Nel solco della tradizione, tra soul e pop degli anni 60 è poi Breakdown, di cui si è già parlato. Dylan è ancora una fonte ispiratrice sfocata anche se presente nel progetto di Petty; apparirà più avanti, dopo che anche YOU’RE GONNA GET IT (1978) sarà stato pubblicato. Il disco contiene brani estatici e imparentati con la psichedelia californiana. Il ruolo che sull’album di esordio era stato di Luna e The Wild One, Forever qui tocca alla semiacustica No Second Thoughts, con tamburi che suonano come su GIMME SHELTER dei Rolling Stones, e Baby’s A Rock’n’Roller, che si ispira ai gruppi della British Invasion con dell’acidtà in più.

Tom Petty alla ricerca di una direzione artistica alternativa...

Per quanto Petty si sforzi di cercare un’alternativa alle sonorità del primo disco, il risultato non si discosta molto dall’esordio, e per questo – a parte le ottime I Need To KnowListen To Her Heart, che diventeranno successi del gruppo – la critica parla di un piccolo passo indietro.

La svolta arriva nel 1979, complice un  provvidenziale avvicendamento nel delicato ruolo della produzione: il posto di Cordell, ottimo nell’avviare il grintoso suono della band ma incapace di esplorarne altre possibilità, va a Jimmy Iovine, un giovane tecnico del suono cresciuto all’ombra di Phil Spector, già visto accanto a Springsteen in DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN e destinato a una luminosissima carriera, prima accanto a Dire Straits e Bob Seger, poi in qualità di talent scout e discografico del rapper hardcore Eminem. La coppia Iovine/Petty, che divide i crediti di produzione di DAMN THE TORPEDOES, fa letteralmente brillare ogni strumento toccato dagli Heartbreakers: chitarre e batteria sopra ogni altra cosa, poi le tastiere, che trovano uno spazio di prima importanza nell’economia sonora del disco. Epiche e romantiche, RefugeeEven The Losers, Don’t Do Me Like That e Here Comes My Girl fanno incetta di riferimenti assestando il suono della band. Con pezzi così, si va nel paradiso del rock’n’roll.

L’amalgama di Louisiana Rain fa volare in alto, l’album viene definito un capolavoro dalla critica e tale rimarrà nel tempo, brillando ancora oggi come una tra le espressioni più alte del rock americano degli anni 80. Nonché portatore di una tra le più belle copertine che si ricordino. Trovato un equilibrio tra suono di gruppo e testi (ora più scoperti e apprezzabili), nulla viene toccato in vista del quarto album: così, HARD PROMISES (1981) pesca nel disco precedente il modello a cui ispirarsi. The Waiting e Letting You Go, come nemmeno American Girl lo era stata, sono con A Woman In Love (It’s Not Me) le carte vincenti. In più vi è un duetto da prime pagine con Stevie Nicks dei Fleetwood Mac (la morbida Insider, che vedrà la collaborazione estendersi a Stop Draggin’ My Heart  round, poi finita nell’esordio solista della cantante: quel disco risulterà essere un potente mix tra i Fleetwood Mac e gli Heartbreakers di Petty, con un rilevante tocco di Eagles in un altro brillante duetto, Leather And Lace, registrato con Don Henley). L’approccio vocale di Petty in alcuni episodi si fa più meditato del solito e, nel tentativo di prendere le distanze da certi abusati cliché, si apre a interpretazioni più di “testa” e meno rabbiose che – è il caso di Something Big e You Can Still Change Your Mind – toccano più che in passato le corde e i colori di un certo Dylan.

Foto via: www.thedailybeast.com

Al musicista di Gainesville mancavano soltanto alcune hit...

Al musicista di Gainesville, che si è visto due anni prima ai concerti del No Nukes e che ormai può contare su un solidissimo seguito, mancano però gli hit in  grado di trascendere l’audience del rock. Nelle stagioni in cui MTV va imponendo la propria azione presso i giovanissimi, servono un singolo e un video in grado i  fare centro. Ci riesce You Got Lucky, canzone dominata da un sintetizzatore molto marcato che trova impreparati i fan di vecchia data. La canzone è parte di un disco, LONG AFTER DARK (1982, da ora Howie Epstein subentra a Blair), bello e assai compatto, che farà coppia col successivo SOUTHERN ACCENTS (1985) nel proporre un Petty decisamente più avventuroso rispetto alle stagioni passate. Il desiderio di cercare nuove strade senza discostarsi troppo da quella maestra di un rock’n’roll tradizionalissimo porta l’artista a collaborare con Dave Stewart degli Eurythmics (si deve a lui il pop psichedelico di Don’t Come Around Here No More) e anche con Robbie Robertson, coautore della conclusiva The Best Of Everything, riflessione molto sentimentale su un amore consegnato al passato e sullo stile di vita rock’n’roll. Il sodalizio con l’ex chitarrista di The Band aggiunge una perla al repertorio di Petty: ornata di fiati, anche per via dell’apporto offerto da Garth Hudson e Richard Manuel la canzone ricorda da vicino le calde sonorità del gruppo canadese.

Dopo un tour insolito, che vede gli Heartbreakers incorporare una sezione fiati e due coriste e che rivivrà nel doppio PACK UP THE PLANTATION (1986), torna il tempo di un rock più essenziale e meno pretenzioso. Ogni influenza talvolta celata in favore di scelte più personali esce allo scoperto con i tour True Confession e Temple in Flames, sorta di Rolling Thunder Revue degli anni 80, in cui Bob Dylan sceglie di farsi accompagnare da Tom Petty e dagli Heartbreakers. Se ad alcuni show del 1986 partecipa Stevie Nicks, quelli del 1987 hanno come momento di apertura l’esibizione di Roger McGuinn, l’uomo che lega le due star della serata. Petty divide il palco con gli eroi della sua gioventù, Dylan ha il piacere di incontrare di nuovo l’ex Byrds e di verificare sul campo tutte le qualità di Petty, un ragazzo cresciuto con le sue canzoni e ormai diventato centrale nella scena rock del suo Paese. È un vero spettacolo per gli amanti del folk rock e per tutti i dylaniani, che non sentivano il loro beniamino così ben assistito sulla scena da parecchio tempo...

Questo articolo appare integralmente nel numero #58 di Classic Rock Italia. Leggi l'articolo completo!

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