Quattro anni senza David Bowie: la sua intervista del 1980

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Nell’anniversario del quarto anno della scomparsa di David Bowie, riproponiamo una parte dell’intervista realizzata da Maurizio Baiata al Duca Bianco (pubblicata all’interno di Classic Rock 77). La sua consapevolezza e la vocazione verso qualcosa di elevato si univano insieme per dare vita a un’espressione artistica mai vista in precedenza. Nelle sue parole già tutta la grandezza di quello che sarebbe diventato.

L’incontro di Maurizio Baiata con David Bowie avvenne nel settembre 1980 grazie alla mediazione fra la RCA Italiana e il management di David Bowie, cha da pochi giorni calcava il palco del Booth Theatre a Broadway nella pièce The Elephant Man. Il giornalista fu invitato ad assistere alla rappresentazione del dramma teatrale e il giorno dopo, al Carlyle Hotel, East 76th Street, New York City, ebbe luogo l’intervista.

Quello che si nota in te è una peculiare combinazione culturale fra tecniche del corpo e predisposizione mentale.
Sì, penso che la maggioranza delle cose che faccio siano contraddittorie (ride). Il mio scrivere rivela certe qualità riflessive orientali ed evidenzia una straordinaria paranoia tutta occidentale. Convivono entrambe. Una natura contraddittoria che appare su diversi livelli del mio lavoro, che spesso risulta confuso, ma il fatto è che sono io a essere confuso (ride)!

Evidentemente, sia gli artisti sia le persone hanno capito che solo insieme si può prendere il treno giusto per il rock & roll. Dai primi Sessanta a oggi, a ogni stazione si è fermato il treno giusto, bastava avere gli occhi aperti per prenderlo.
Lo credo anch’io. Però, per fare un esempio, non vedo alcuna validità nella musica heavy metal. È un dinosauro artistico, che continua a riasserire un particolare vocabolario che conosciamo perfettamente e in cui tutto viene usato per sentirsi più sicuri al chiaro di luna, senza estendere o stimolare l’immaginazione verso nuovi territori. Perché l’heavy metal è tanto popolare? Perché è il tipo di musica che la gente usa come la coperta di Linus. È pur vero che molta pop music americana viene usata come una coperta di Linus, in particolare i pezzi da classifica, che non solo non offrono nulla di nuovo o eccitante, ma soprattutto reiterano un messaggio a cui ci si abitua come alla compagnia di un vecchio amico. Tante persone hanno bisogno di questo ma, per me, sentito una volta, quel tipo di vocabolario non mi dà nulla. Io cerco un nuovo alfabeto.

Nel campo della ricerca, tu riesci a unire due forme di arte, quella teatrale e quella rock. Basta osservare per cogliere che la tua espressione è più aperta e completa rispetto ad altri, perché usi il tuo corpo per rendere un’immagine esterna che raggiunga direttamente le persone e la tua interiorità per creare ed eseguire musica.
Per l’ascoltatore è diverso. Dipende dal tipo di musica che ascolta, che definisce la differenza fra ascoltatore creativo e ascoltatore passivo: quello creativo ascolterà cose straordinarie perché passa attraverso la ricerca continua di un nuovo vocabolario, mentre quello passivo si accontenterà di un messaggio costantemente ripetuto. Funziona nelle due direzioni. Come un cliché. Un dipinto chiuso in una stanza è un dipinto che esiste solo se qualcuno lo guarda.

L’intervista completa è su Classic Rock 77.

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