Tre album all’attivo, l’ultimo dei quali, BEACON, pubblicato all’inizio del 2018, ma pochi hanno sentito parlare dei Lines in the Sky. Posta tale premessa (e il fatto che per chi scrive sono stati la scoperta più piacevole del 2018), il trio originario di Nashville è uno dei segreti meglio custoditi del progressive rock contemporaneo.
Non che i Lines in the Sky abbiano inventato chissà che cosa di nuovo, ma hanno raggiunto precocemente fin da HILASTERION, esordio del 2014, un ottimo compromesso tra il tecnicismo, sviluppato negli ultimi anni da band prog fusion tipo Thank You Scientist o Haken, e un innato senso per incisive soluzioni melodiche, ispirate al passato.
Per presentarli al pubblico che ancora li deve conoscere si noterà in particolare un’inclinazione all’hard prog dei Rush (paragone che si estende di conseguenza agli eredi morali Coheed & Cambria) e alle limpide aperture armoniche degli Enchant oppure, come riassumono loro stessi, un connubio tra “l’essenza del vecchio e tradizionale prog sviluppato con idee nuove e contemporanee”.
Le origini dei Lines in the Sky risalgono a quando i fratelli Jesse (chitarra, voce) e Bowman Brock (batteria), giovanissimi, utilizzavano il tempo libero per imparare i propri strumenti suonando insieme: “Ho iniziato ad ascoltare il post rock – aggiunge Jesse – e da questa influenza abbiamo integrato molta chitarra ambient nel nostro suono, ma non cercavamo di essere prog. Poi, dopo aver ascoltato i Meshuggah, sebbene non suonassimo pesantemente come loro, abbiamo incorporato molti dei loro concetti ritmici nella nostra musica. Abbiamo preso queste nuove influenze e le abbiamo mescolate in una struttura contemporanea. L’esito era qualcosa divagamente progressivo. Dato che eravamo già in quell’ambito, abbiamo deciso di aggiungere più riff progressivi che ricordassero Between the Buried and Me e Rush. Così, quando pubblicammo HILASTERION (2014), sviluppammo una tavolozza musicale composta da elementi eterogenei: pesanti, ambient e progressivi”.
I Lines in the Sky cercano di mantenere nei brani anche una durata contenuta, una tendenza che fa emergere influssi derivati dall’AOR con concessioni al pop rock, peculiarità che rendono il secondo lavoro PARALLEL TRAVEL (2016) molto equilibrato, ma fondamentalmente rimangono un power trio che fa un uso strutturato e molto denso degli strumenti a disposizione, spingendo al massimo le proprie possibilità con groove intricati nelle sovrapposizioni tra chitarra, basso e batteria.
L’articolo completo a cura di Lorenzo Barbagli è su PROG Italia n. 21, disponibile qui e in edicola.
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