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“Una donna per amico” raccontata da Geoff Westley

Un inglese alla corte del re del pop italiano: Geoff Westley racconta i suoi anni con Lucio Battisti.

Oxfordshire. Interno notte. Dopo cena, i musicisti sono riuniti in un grande salone dello studio Manor con un bel camino acceso. Fuori piove a dirotto, tuoni e fulmini, e questo aumenta il piacere di stare lì, al caldo, con un bicchiere di cognac in mano. Tra i musicisti c’è anche Battisti. Qualcuno gli chiede notizie delle sue vecchie canzoni, sono incuriositi di sapere cosa c’è stato prima di UNA DONNA PER AMICO. E allora Battisti, quasi per magia, prende la chitarra e comincia a suonare e a raccontare le sue canzoni, mentre la pioggia bagna la campagna inglese.

Come avvenne il contatto con Battisti e dove v’incontraste per la prima volta?
Questa è una bella storia. Io all’epoca facevo il turnista, tastierista e arrangiatore, e lavoravo spesso per i produttori o comunque per i direttori artistici di un progetto discografico. […] Così feci sapere a un mio amico, che in quel periodo era il direttore artistico della RCA inglese, Alan Sizer, che anche a me interessava produrre dischi e che se aveva qualche opportunità io ero pronto a farlo. Dopo un po’ di tempo, lui mi chiamò e mi disse: “Ti andrebbe di produrre un artista italiano?”. Allora Alan mi disse che avrebbe organizzato un incontro per farmi conoscere questo artista. Facemmo un po’ di conversazione e alla fine della cena Lucio mi fece due domande: quando volevo iniziare e dove volevo registrare. […]

La cosa singolare è che lui abbia detto subito che sceglieva te semplicemente alla fine di quella cena. Evidentemente, si era trovato bene umanamente, deve essere scattata subito una buona sintonia.
Sì, penso sia così. […] So di sicuro che lui aveva espresso il desiderio di lavorare con un arrangiatore/produttore inglese. Questa era la richiesta che era arrivata ad Alan a Londra.

Avevi già lavorato con Greg Walsh e con gli altri musicisti che avevi scelto per realizzare UNA DONNA PER AMICO?
Sì, ma solo come turnista. Greg lo conoscevo molto bene perché era uno dei fonici più bravi all’epoca, era molto giovane e avevo capito che non era soltanto un fonico molto bravo tecnicamente ma, dato che era anche un musicista, che aveva molta musicalità. Ha creato dei bellissimi quadri musicali quando fece i missaggi. Così come conoscevo bene gli altri musicisti convocati per le sedute di registrazione, tutta gente con cui avevo già lavorato come turnista.

foto: Danilo D’Auria

Nella versione dell’album, Una donna per amico è preceduta da quello che sembra un home-recording, con le voci di un bambino e di una donna mentre Battisti sussurra la melodia della canzone suonando la chitarra. Sono il figlio e la moglie? E come mai decideste di utilizzare quella registrazione, che rievoca una situazione comunque molto intima, familiare?
No, non è un home-recording, la registrammo a The Manor. Mi era venuta l’idea di inserire all’inizio della canzone questa introduzione perché nel tardo pomeriggio e nella prima serata, quando il personale del Manor cominciava a preparare la cena, se aprivamo la porta dello studio si sentivano i rumori che uscivano dalla finestra della cucina, con le ragazze che preparavano da mangiare, e con loro c’erano sempre un paio di bambini piccoli. A me piaceva questa idea di una cosa familiare, quotidiana, e così mettemmo un microfono davanti alla finestra della cucina, mentre Lucio in studio suonava la chitarra e sussurrava la melodia della canzone; mi piaceva l’idea di avere come dei rumori di fondo per sporcare un po’ quella esecuzione.

UNA DONNA PER AMICO andò molto bene come vendite e tu venisti confermato anche per la realizzazione dell’album successivo, UNA GIORNATA UGGIOSA. Come andarono le cose? Ti cercò Battisti, o fosti contattato dalla RCA?
È normale in questo business che quando tu trovi qualcosa che vende bene, l’istinto, soprattutto dei discografici, ti porta a fare un altro album quasi uguale, per loro è un ragionamento normale, quasi scontato. Ma Lucio era decisamente contro le cose normali. Ho visto che lui ha sempre voluto cambiare direzione, fare un progetto differente da quello che aveva appena finito. Me lo disse anche direttamente: “Se faccio qualcosa che ha successo, il mio istinto è di cambiare direzione di 180 gradi e fare una cosa completamente diversa”. E quindi fui molto sorpreso quando mi chiese di fare il secondo album, ma non quando non m’invitò a fare quello successivo, quando scelse Greg Walsh per fare un disco pieno di musica programmata, fatto con le macchine elettroniche, e quello in ogni caso non era tanto il mio mondo.

L’articolo è tratto dall’intervista a cura di Luciano Ceri, pubblicata su Vinile n.15, disponibile qui.

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