Quella era un’epoca in cui la musica d’autore aveva molti più riscontri di oggi presso il pubblico, era di moda e quindi c’era attenzione anche da parte dei discografici in generale: io avevo fatto molti provini, come si usava, poi conobbi Minghi e insieme andammo da Micocci, perché la IT era la fucina di ogni invenzione diversa. Tutti quanti erano nati lì, De Gregori, Venditti, Rino Gaetano e tanti altri, e quindi in breve iniziai a mettere a punto i primi pezzi, a registrare provando gli arrangiamenti delle canzoni, fino al debutto con il 45 giri con Oceania e Sangue fragile.
Sì, anche ma non solo: se devo dirti la verità, i primi provini di registrazioni erano su tanti altri pezzi che poi non ho mai fatto e che un giorno mi piacerebbe anche tirare fuori perché, pur nella loro ingenuità, sono fotografie di quel momento, di quel periodo mio e anche di quell’epoca.
Vero, quello era un periodo in cui il cantautore in genere suonava la chitarra, io invece mi presentavo in piedi senza suonare nulla, e nel disco di chitarra ce n’era pochissima: al contrario di oggi, dove mi piace recuperare, dal vivo e nelle incisioni, questo strumento. Fammi dire che all’album SETTE FILI DI CANAPA collaborarono dei musicisti straordinari: si usa dirlo, ma le persone straordinarie sono poche e in quel caso era proprio vero però, parlo di gente come Walter Martino e Massimo Buzzi alla batteria, o Dino Kappa al basso… E poi, anche nei dischi successivi, ho lavorato con gente come Tony Cicco della Formula Tre, Mario Schilirò, Mario Scotti, Sandro Centofanti, Piero Montanari, Luciano Ciccaglioni e tanti altri, che mi hanno anche accompagnato in tournée.
Musicisti bravi non soltanto da un punto di vista tecnico, ma umanamente, perché quando tu hai tanti anni di esperienza alle spalle e sei una persona generosa, come lo erano loro, ti piace instradare quello che è arrivato da poco, come potevo essere io in quel periodo, ma che magari ti suscita qualche tipo di curiosità.
L’unica musica che ascolto quando vado in giro è la musica classica, non per questioni di snobismo o cosa, ma perché penso che in giro ci sia già troppo rumore: e poi, è rock anche la classica, nel senso che il rock non è un rullante di batteria e basta, il rock è un’intenzione, un’atmosfera, ci sono molti musicisti classici che secondo me sono stati rock, come Schubert, e così mi è venuto questo testo un po’ criptico.
…E che falsetto! Be’, questa l’ho fatta innanzitutto perché mi divertivo, mi divertiva cantarla in quel modo. Ma io in falsetto per giocare ho fatto anche molte altre cose, che però poi non ho registrato.
Io sono per metà toscano, mia mamma è di un paese nella provincia di Siena che dista appunto centosessanta chilometri da Roma e di cui si parla nella canzone. Per questo, ogni tanto esce fuori in qualche brano la Toscana, una terra che amo, a cui sono legato, con molte cose rappresentative del resto d’Italia, penso ai tanti paesi per esempio o alle rivalità retaggio dell’epoca dei Comuni, e anche a un certo spirito che mi è spesso stato utile per affrontare la vita con la giusta dose di distacco e di ironia, con la sdrammatizzazione tipica dei toscani.
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